Forlì

Titolo

Forlì

Testo

Capoluogo di provincia. Posta sulla destra del fiume Utis (Montone) e divisa in due parti disuguali dalla via Emilia, F. si trovava in una posizione molto favorevole ai commerci. Chiamata in epoca romana Forum Livii dalla gens Livia che le diede origine, F. seguì nei primi anni del Medioevo le vicende dell'esarcato di Ravenna ed in seguito fu Comune, governato, per lo più dai ghibellini.

Nel 1275 i ghibellini Forlivesi, insieme ad altri di Romagna, capitanati da Guido da Montefeltro vinsero i Bolognesi e i Malatesta da Verrocchio. Guido da Montefeltro, inoltre, sempre in qualità di capitano di F., sterminò nel 1282 8.000 francesi di Giovanni d'Appia, rettore e Conte di Romagna per la Chiesa.

Delle varie famiglie che condussero la politica comunale, solo quella degli Ordelaffi tenne la signoria per quasi due secoli, sino alla morte di Pino III, quando Sisto IV investì della città Girolamo Riario, cui successe la vedova, Caterina Sforza (1488-1500), spodestata, in seguito, da Cesare Borgia. Al Borgia successero anni di lotte tra le fazioni locali dei Morattini e dei Numai, cui il governo ecclesiastico si oppose con difficoltà. Nel XVI secolo crebbe l'importanza di F. come sede della Presidenza della Romagna ed il governo della Chiesa durò sino all'occupazione francese.

 

Il primo documento fino ad ora reperito circa la presenza ebraica a F. risale al XIV secolo e consiste nelle disposizioni, contenute negli Statuti del Comune del 1359, relative all'esclusione degli ebrei dalla possibilità di comparire in giudizio in veste di sindicus, procurator, defensor[1]. Qualunque azione giudiziaria sostenuta da un ebreo, inoltre, non avrebbe avuto valore, mentre, se egli avesse avuto un procuratore cristiano, quest'ultimo avrebbe avuto l'obbligo di assumersi tutta la responsabilità della causa intrapresa[2]. Da tali disposizioni si evince che gli ebrei dovevano essersi stanziati nella città in epoca precedente ed alcune fonti, in effetti, presumono come data dei primi stanziamenti il XIII secolo[3].

Dalla documentazione risulta che gli ebrei potevano acquistare e prendere in affitto case dai forlivesi cristiani e coabitare, mentre più tardi avrebbero potuto essere proprietari solo di fabbricati[4].

Inoltre, agli israeliti non veniva imposto alcun segno distintivo e alcun luogo di abitazione. Nel 1418, dopo l'elezione al soglio pontificio di Martino V, la commissione permanente dei capi delle comunità dell'Italia centrale e settentrionale, incaricata di vigilare sugli avvenimenti, si riunì a F., deliberando di inviare una deputazione al pontefice appena eletto, per domandargli nuove garanzie di protezione a conferma di quelle concesse dai predecessori. Per sopperire alle ingenti spese necessarie all'organizzazione delle comunità e al pagamento delle tasse e dei diritti inerenti al decreto papale, il congresso impose un contributo a tutti gli ebrei che vi facevano capo.

Il 31 gennaio 1419 i delegati ottennero dal Papa l'auspicata bolla di protezione, con la quale, confermando le precedenti disposizioni in favore degli ebrei emanate da altri pontefici, prendeva sotto la sua protezione quelli italiani, concedendo loro di vivere secondo le proprie leggi e i propri costumi, senza subire molestie nelle sinagoghe e senza essere esposti alla minaccia del battesimo coatto[5].

Prestatori del XV secolo da menzionare per F. sono: Ventura di Abramo Caravita da Bologna (presumibilmente un fratello dello stampatore Josef Hayyim), i figli del banchiere Jechiel da Pisa ed il banchiere Abraham ben Mordechai, che fu nominato massarolus comunis Forlivii, cioè amministratore dell'erario del Comune, carica alla quale probabilmente fu chiamato in virtù delle sue possibilità finanziarie, che gli permettevano di pagare la forte cauzione richiesta. Tornando ai da Pisa, è da ricordare che Isacco di Manuele da Rimini o da Pisa[6], oltre a possedere il banco di F., vi aveva dimorato prima di stanziarsi nella città toscana.

Nel 1488 parte della popolazione, approfittando dei disordini per la morte di Gerolamo Riario, prese d'assalto i banchi ebraici, provocando la fuga degli israeliti[7]: il Consiglio dei Quaranta, radunatosi più volte per valutare la situazione, nel 1490 stabilì che la mancanza degli ebrei era dannosa al Comune e determinò che dita terra non stese senza alcune zodio per aiute e favore de tuta la republica et masime de li povere miserabile[8].

Venne chiamato, pertanto, Guglielmo (Beniamino) da Bologna per gestire il prestito ed anche i banchieri fuggiti tornarono dopo poco tempo. Nel 1511 fu decretata la fondazione del Monte di Pietà, ma gli ebrei continuarono nell'attività feneratizia: il banco risultava sempre in mano dei da Pisa all'epoca, ed era gestito dalla società composta dai figli di Isacco e dal figlio di Samuele, fino al 1529, quando venne ceduto ai fratelli Abraam e Gentilomo da Fano[9].

Un anno prima, intanto, era stata accordata agli ebrei di F. un'amnistia generale in seguito al pagamento della vigesima e nello stesso 1529, Abraam e Gentilomo ottennero l’esenzione dal segno, il permesso di riparare e allargare le sinagoghe nelle loro case e l'esenzione dalla vigesima che non fosse relativa al banco[10]. L'importanza degli ebrei in F., secondo una fonte, crebbe al punto che, nel Consiglio Secreto del 25 giugno 1533, venne affermato da tale Fulfus che, per provvedere all'abbondanza vocentur mercatores et cum eis aloquator et similiter hebrei et intelligatur qualibet sit eorum oppinio et quidquid vellint facere circha provisionem formenti pro abundantia[11].

Nel 1535 fu imposto da Papa Paolo III che gli ebrei portassero il segno distintivo, che, tuttavia, sembrava in vigore già anteriormente[12].

L'anno successivo Gentilomo, in virtù dell'assoluzione generale concessa agli israeliti della Romagna, ottenne di non essere punito per aver avuto commercio carnale con una donna cristiana[13]. Nello stesso anno un forlivese cristiano, che aveva ucciso un ebreo tre anni prima, dimostrandosi pentito del crimine ed essendosi riconciliato con la famiglia della vittima, fu graziato[14].

Nel 1537 Giacobbe Simone Gaiboni di Reggio, con i familiari ed i soci ricevette una licenza quinquennale per gestire un banco a F.[15] e l'anno successivo i fratelli da Fano ottennero la conferma per otto anni della concessione del banco[16].

Qualche anno dopo l'Università di F. otteneva che venisse rispettata l'esenzione da tutte le tasse, all'infuori della vigesima, e, pertanto, non contribuì al pagamento dei soldati di stanza a nella città[17].

Nel 1545 i forlivesi dietro suggerimento di un buon religioso[18], cercarono di promuovere, tramite un ingente prestito di denaro, l'attività del Monte come alternativa reale a quella feneratizia ebraica. Cinque anni più tardi, però, a Giacobbe di Simone Gaiboni di F. e soci fu vietato l'esercizio del prestito, riconosciuto monopolio di Gentilomo Fano di Mantova[19].

Nel 1551 gli ebrei di varie località, tra cui F., dichiararono, a scopi fiscali, di avere minori proprietà del vero e, pertanto, vennero perseguiti.

Dopo la cacciata dagli Stati della Chiesa, nel 1569, la comunità di F. si sciolse.

 

Attività economiche

Dagli Statuti forlivesi del 1359 si evince che gli ebrei dell'epoca svolgevano principalmente l'attività feneratizia e da un processo del 1426 contro cinque feneratori risulta che l'interesse massimo stabilito per legge era di 6 denari per lira al mese (mentre gli imputati ne avevano richiesti 8). È attestato, tuttavia, che molti ebrei commerciavano in stoffe, oggetti d'abbigliamento e abiti confezionati che davano anche a nolo oppure vendevano nei negozi. Da un atto del 1487 vediamo, poi, che tale Beniamino ebreo imparò l'arte di tessere nastri di velluto e di broccato variamente lavorati[20].

Gli israeliti erano anche attivi nell'esercizio della medicina: a questo proposito vanno menzionati David ben Salomon ben Joab (1387), Menachem ben Mordechai (1449-1451) e un Benjamin (1459)[21].

Dall'esame della condotta del 1529 di Abraam e Gentilomo da Fano si apprende che essa aveva durata decennale e che, passato tale termine, poteva prorogarsi, per tacito consenso, per altri dieci anni. Se allo spirare del decennio Abraam e Gentilomo non avessero voluto continuare a gestire il banco, avrebbero potuto riscuotere il capitale prestato e gli interessi entro due anni, continuando a valersi dei privilegi goduti durante la condotta. Abraam e Gentilomo detenevano di fatto il monopolio del prestito[22], ma il banco doveva poter disporre di una cifra tale da sopperire ai bisogni della città (cioè doveva disporre di almeno 5.000 o 6.000 ducati). I conduttori, durante il periodo della condotta, erano esentati da tutte le "gravezze" personali e reali, ordinarie e straordinarie e potevano portare in città tutte le loro robbe, senza essere sottoposti ad alcuna gabella, erano esenti dal dare alloggio ai soldati o dal pagare tasse per detto alloggio e nei giorni festivi ebraici non potevano essere obbligati ad esercitare il prestito su pegno (mentre era attestato anche quello chirografario)[23].

Nel 1535 fu approvata la risoluzione di limitare il commercio ebraico alla strazzaria[24]: nonostante ciò negli anni '80 e '90 del XVI secolo il camerlengo papale concesse alcune tolleranze a prestatori ebrei, tra cui Lazzaro Poggetto da Asti[25].

 

Quartiere ebraico

Dai documenti risulta che gli ebrei forlivesi, tra la fine del XV e all'inizio del XVI secolo, vivevano raggruppati intorno alla sinagoga, sita nella contrada Burgimerlonum, che, sino ai primi del Novecento era nota come "Via dei Giudei"[26].

 

Sinagoga

Da un rogito del 1466 risulta che i fratelli Abraam e Muxe, ebrei di F., vendettero a un correligionario residente a F., Manuele di Aliuzio di Ancona, una casa posta nella contrada Burgimerlonum, in cui aveva sede la sinagoga seu oratorium privatum ebreorum[27]. Dopo aver comprato l'edificio, Manuele di Aliuzio dichiarò alla presenza del Vescovo che vi si era tenuta la sinagoga da dieci, venti, trenta, quaranta anni e più[28] e chiese il permesso, peraltro accordatogli, di continuare a tenervela.

Dai documenti si evince, inoltre, che gli oratori privati fossero più di uno a F.[29].

 

Cimitero

L'unico cenno documentato rimastoci risale al 1451, quando il vescovo di Imola ricevette ordine di accertarsi se il cimitero ebraico intralciasse realmente la vita religiosa del convento francescano di S. Maria in F., come lamentavano i frati, e, in caso affermativo, di fare in modo che gli ebrei rinunciassero a seppellirvi i morti e accettassero un luogo alternativo ed il risarcimento finanziario proposti dal convento[30].

 

Dotti e rabbini

Il filosofo Hillel ben Shemuel da Verona (secondo una fonte, invece, originario di F.[31]) risiedette a F. dal 1280, in qualità di medico, e da qui indirizzò le proprie lettere filosofiche a Maestro Gaio. Vi compose, inoltre, la sua opera Tagmule' ha-nefesh.

Ci sono rimasti, poi, svariati manoscritti di provenienza forlivese, risalenti all'ultimo quarto del XIV secolo[32].

Elijahu b. Yitzhaq da Mestre compose a F., nel 1497, la sua Iggeret ha-Techuna sull'astronomia (Ms. Oxford 1748) e forse anche un commento (che si trova nello stesso ms.) sulla Mishnah Aruga (Kil. III, I).

Ci e rimasta anche una lettera del XVI secolo, scritta in ebraico, di provenienza forlivese[33].

 

 

Bibliografia

 

AA.VV., Cultura ebraica in Emilia Romagna, Rimini 1987.

Berliner, A. (a cura di), Kovetz al-jad, Berlin 1888.

Cassuto, U., alla voce "Forli", E.J.

Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, Firenze 1918.

Cassuto, U., Sulla famiglia da Pisa, in Rivista Israelitica, VI (1909), pp. 161-170; pp. 223-232.

Ciscato, A., Gli ebrei in Padova, Padova 1901.

Finkelstein, L., Jewish Self-Government in the Middle Ages, New York 1924.

Garzanti, A., Un banco ebreo di Forlì, in La Romagna V (1908), pp. 266-279.

Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.

Rinaldi, E., Gli ebrei in Forlì, in Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna, Serie IV, vol. 10 (1920), pp. 295-323.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.

 

 


[1]  Rinaldi, E., Gli ebrei a Forlì, p. 296.

[2]   ivi, p. 296, n. 2.

[3]  Di questo parere è il Cassuto (cfr. la voce "Forli" in E.J.) e anche la Rinaldi ritiene verosimile tale ipotesi (cfr. op. cit., p. 296). A favore di uno stanziamento ebraico a F. nel XIII secolo può essere citata anche la presenza in loco di Hillel da Verona (vedi sotto "Dotti e rabbini").

[4]  Rinaldi,E., op. cit., pp. 297-298; Garzanti, A.,Un banco ebreo in Forlì, p.  266.

[5] Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, p. 26; Finkelstein, L., Jewish Self-Government in the Middle Ages, p. 87; p. 281 e segg.; Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 1394-1464, doc. 596.

[6]  Isacco di Manuele apparteneva forse alla famiglia di quel prestatore Manuele o Emanuele da Rimini, di cui parla il Ciscato (cfr. Ciscato, A., Gli ebrei in Padova, pp. 18-22). Secondo il Cassuto quest'ultimo sarebbe da identificarsi con quel Menachem ben Nathan da Rimini, il cui testamento è stato pubblicato dal Berliner (Ha-medabber, p. 47). Cfr. Cassuto, U., Ebrei a Firenze, p. 153 e n. 5.

[7] Garzanti, A., Un banco ebreo in Forlì, p. 266.

[8]  Garzanti, A., op. cit., p. 268.

[9] Garzanti, A., op. cit., p. 266; p. 269. Per il testo della cessione del banco, cfr. pp. 272-279. Il Cassuto fa presente che gli eredi di Vitale da Pisa, ci quali, morto lui, non avevano intenzione di continuare a gestirne il banco, sarebbero tutti nipoti del vecchio Jechiel da Pisa, perché sia Jechiel, figlio di Isacco, che Jechiel Nissim, figlio di Samuele, nel 1529 risultavano ancora vivi (Cassuto, U., Sulla famiglia da Pisa, p. 226, n. 5). Risale al 1526 la concessione di una condotta decennale a Vitale e fratelli, figli ed eredi del fu Isacco da Pisa, per un banco in Forlì (cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See, 1522-1538, doc. 1346). Su Gentilhomo Aminadav da Fano, cfr. Simonsohn, S.,  Mantua, p. 219

[10] Simonsohn, S., The Apostolic See. doc. 1417.                                                                                                                

[11]  Libri Consiliari , Arch. Com., n. 6; seduta 25. 6. 1533, cit. in Ibidem.

[12]  Il Garzanti dà un'indicazione errata sostenendo che il segno fosse stato imposto da Paolo IV [sic] nel 1534 (op. cit., p. 266, n. 4).  Per il provvedimento sul segno, nel 1535, cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See., doc. 1772. Quanto al fatto che il segno sembra essere stato in vigore già da prima, si vedano le concessioni ai banchieri di essere esentati dal portarlo: Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1417.

[13]  Simonsohn, S., op. cit., doc. 1783.

[14]  Simonsohn, S., op. cit, doc. 1790.

[15]  Ivi, doc. 1816.

[16]  Ivi, doc. 1874.

[17]  Ivi, doc. 1984.

[18]  Ibidem.

[19]  Ivi, doc. 2955.

[20]  Rinaldi, E., op. cit., p. 298.

[21]  Cassuto,  U., alla voce"Forli" in E.J.; cfr. Rinaldi, E., op. cit., p. 299.

[22]  Sui diritti concernenti il prestito a F. scoppiò una controversia nel 1533, tra Gentilomo (Aminadab) e Abraam da Fano e Simone Moysetti ed il genero, Leuccio Moysetti, cui parteciparono prestigiosi rabbini in carica a Bologna (Habraham Cohen, Servadio Sforno e Jacob Corinaldo di Ferrara). Cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See., doc. 1595.

[23]  Per ulteriori dettagli, cfr. Garzanti, A., op. cit., pp. 272-279.

[24]  Simonsohn, S., op. cit., doc. 1772.

[25] Loevinson, E., Banques de prêts, pp. 57s.

[26]  Bonoli, II, pp. 261-262, citato in AA.VV. Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 267; Rinaldi, E., op. cit., p. 300;

[27]  Rinaldi, E., op. cit., p. 299.

[28]  Ibidem.

[29] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1417; 1429.

[30]  Simonsohn, S., op. cit., doc. 796.

[31]  Tale ipotesi è stata espressa da Giuseppe Baruch Sermoneta, nella sua tesi di dottorato, dedicata a Hillel ben Shemuel e alla sua opera Tagmule' ha-nefesh.

[32]  Si tratta del ms. Oxford 601; ms. British Museum 616 (Almanzi 79) e ms. De Rossi 1386: Cassuto,  U., alla voce "Forlì" in E.J.

[33]  Berliner, A. (a cura di), Kovetz al-jad, pp. 50-51.

Geolocation