Cento

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Cento

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Provincia di Ferrara. Posta sulla riva sinistra del Reno, C. è d'origine antichissima e   costituì con la vicina Pieve un'entità amministrativa sino al 1376. Nel  1392  Bologna  la annetté, dominandola sino al 1404, quando il cardinale legato Baldassarre Cossa trasferì direttamente alla Santa  Sede la dominazione su  C.  In seguito,  dal  1417  al  1419,  venne  riannessa a Bologna e successivamente  restituita  all'episcopato  di quest’ultima. Dopo svariate  vicissitudini  il  controllo  del  centopievese fu nuovamente nelle mani del governo bolognese che lo mantenne fino al  1449, allorché   subentrò la dominazione  vescovile destinata a durare praticamente sino agli  albori dell'Età Moderna. Nel 1502 C. venne concesso in feudo da Alessandro VI al duca  di  Ferrara e rimase  sotto  il dominio della Casa d'Este sino alla rivendicazione di tutto  il territorio ferrarese  operata da Clemente VIII nel 1598. Nel 1754 venne  conferito a C. il titolo di città da parte di Benedetto  XIV e nel 1796-98 venne invaso dai Francesi.

Dalla  denominazione “ha-Meati” del  celebre  traduttore dall'arabo in ebraico di opere mediche del  XIII secolo  Natan, ritenuta toponimo di  provenienza (dato che “Meah”  in ebraico significa "cento", per cui ha-Meati starebbe per "il Centese"), alcuni studiosi  avevano ipotizzato una  presenza ebraica  a  C.,  già  da  quell'epoca[1].

I colophon  dei manoscritti  d'origine  centese, di recente ritrovati, tuttavia mostrano la consuetudine di rendere tale toponimo di provenienza con  "me-Cento"  e,  pertanto, contribuiscono  a privare di  fondamento  l'ipotesi precedente[2].

Il documento  più antico,  ritrovato sino  ad ora,  circa la presenza ebraica  a C. è  un  atto notarile del 1390 in cui Manuele di Gaudio di Roma  dichiarava di aver  ricevuto da Bertolomeo Grazioli di  C. 120  lire a  restituzione di un prestito fatto: in effetti nel 1391 Manuele risultava gestire un banco in questa località che serviva anche Pieve di C., sebbene il  vero e proprio titolare del banco fosse Manuele di Daniele da Forlì,  con cui  Manuele  era  associato, mentre  coinvolti erano anche Manuele e Daniele di Ser Angelo da Perugia.

Ancora nel 1397  i documenti riportano come responsabile del banco di  C. Manuele di  Gaudio e lo  menzionano sino al 1399, quando era intento a pagare le tasse per tale attività.

Nel  1398  Manuele  di  Daniele  da  Forlì risultava essere defunto, lasciando  tre figli  sotto la  tutela della  madre Bellafiore di Matassia di  Orvieto[3] che,  nel 1406, stipulò una condotta con il Comune di C.: insieme a Bellafiore  era compreso nella condotta suo fratello, Manuele di Matassia. Ad essi, ed ai loro soci e fattori, venne  riconosciuto dalla comunità centese il diritto  di stabilirsi in loco con le famiglie e di prestare su  qualunque pegno,  detenendo il monopolio  dell'attività  feneratizia.  Qualora  il pegno da loro accettato risultasse  rubato venne concesso  il diritto alla  restituzione   della  somma   anticipata  e  dei relativi interessi. Trascorsi un anno e 15 giorni dalla presentazione del pegno, gli ebrei  erano, inoltre, autorizzati a venderlo ed  in caso di controversia  facevano testo  le scritture  contenute nei loro libri  contabili. I  prestatori, con  soci e familiari, erano  dichiarati  immuni  da  ogni  gravame, salvo il caso in cui fossero proprietari  di  immobili   che,  invece,  sarebbero   stati soggetti   a   tassazione[4].  Gli   ebrei  avrebbero, infine, potuto abbandonare a loro discrezione C., previo preavviso di tre  mesi.

La condotta prevedeva, in più, che di sabato e nelle feste ebraiche gli israelitibrei non avrebbero dovuto essere molestati o costretti ad accettare o restituire pegni. Infine, in caso di  tumulto popolare o di disordini con conseguente assalto al banco, il Comune  avrebbe  dovuto  restituire  ai titolari quanto loro eventualmente sottratto.

In cambio delle tutele e garanzie sopra esposte, gli ebrei si impegnavano a prestare al  Comune una somma di denaro ad interesse minore di quello richiesto agli altri clienti.

Nonostante  la condotta  stipulata  con  Bellafiore e soci, Manuele di  Gaudio  risultava  implicato nell'attivita del banco centese, sino al 1410, salvo un certo periodo di tempo in cui Salomone di Matassia da Perugia compariva come suo sostituto.

Nel 1414 un pievese cristiano, Antonio Mengarini, e un bolognese convertito di recente al cristianesimo, Marco di Manuele, vennero convocati in giudizio insieme a Manuele di Gaudio di Roma alias vocatum Manuelem de Cento, per aver  progettato  di  diffamare  Salomone  di Matassia da Perugia  ed  altri gestori  di  banchi  del  contado bolognese che facevano  concorrenza  a  Manuele, accusandoli di  aver  rubato  un  crocefisso  da  una chiesa e di averlo portato in casa di Manuele di San Pietro (gestore del  banco di Castel San Pietro), per bruciarlo a Purim in una sinagoga (che non viene localizzata).

Secondo  la  ricostruzione  dei  fatti,  il   neo-convertito Manuele di  Marco  -  in  obbedienza  alle  disposizioni di Manuele di Gaudio - escluse all'ultimo  momento dall'accusa Salomone da Perugia, aggiungendo, invece, nella denuncia i nomi di altri giudei, per rendere  piu  credibile  il proprio racconto. Gli   accusati, arrestati  e  torturati,  vennero  rilasciati  dopo che  il delatore, pentitosi, ritrattò le accuse. Antonio, Marco  e Manuele di Gaudio furono condannati alla confisca dei beni e ad abbandonare  la città  di Bologna, pena la  forca. Dalla documentazione più tarda si rileva che, tuttavia, a Manuele di Gaudio venne cancellata la pena (probabilmente nel  1414) e  successivamente  anche  ad  Antonio  di  Gaudio (forse nel giugno 1421). Marco di Manuele, invece, avvistato a  Bologna e nel contado, venne catturato e giustiziato nel 1417.

Nel  1423 viene  menzionato  negli  atti  giudiziari tale Olivuccio  di  Gaio,  definito  ebreo  di  C., inquisito per estorsione di usure, in  un contesto tuttavia poco chiaro.

La  presenza ebraica a  C.  è  documentata  in  modo incontrovertibile nella seconda metà  del XV  secolo con  la Bolla di Callisto III,  concessa a C. e  a Pieve di C. nel 1455, con cui  il Papa consentiva agli ebrei di  godere di tutte le esenzioni previste per gli abitanti delle  località in questione, salvo per quanto concerneva i patti stipulati tra gli israeliti e le autorità cittadine[5].

Nel 1467 un tale Abramo di  C.[6] prestò ai consoli una cifra da  restituire entro tre mesi,  risultando  il primo banchiere attestato con sicurezza come gestore del banco locale  in  questo  lasso  di  tempo,  mentre  nel 1474 il banco risultava gestito da tale Santo. Un atto notarile del 1489, attesta che l’attività era passata, poi, a Simone  di Angelo (in società con il fratello), che in quel frangente vendeva al correligionario bolognese Ventura di Abramo Caravita la casa dove il banco era ubicato, includendo nel prezzo anche il diritto  di esercitare  il prestito.  A   Ventura,  che probabilmente gestì   direttamente   il  banco  di  C., sembrerebbe  subentrato  in seguito il centese Leone di Abramo di Leone di  Padova, cui fanno  riferimento dei  documenti stilati tra il 1496 e il 1498.

Nel 1498 risultava essere attivo il Monte di Pietà a C.[7].

Nella seconda  meta del  secolo XVI  si stanziarono  qui  e nelle zone limitrofe gli  ebrei che avevano abbandonato Pieve di C.[8] e nel  1589,  il  cardinale a  latere Aldobrandini, legato di Ferrara,  impose  loro  il  segno giallo sul cappello[9].

Nel 1636 fu  istituito in loco uno dei tre ghetti che dovevano raccogliere  tutta  la  popolazione ebraica della zona. Nel documento di istituzione il cardinale legato  concedeva agli ebrei che avevano i  loro negozi  nella  piazza  di  C.  e  nelle  zone  limitrofe  di continuare i loro commerci, purché si servissero dei propri locali solo per la vendita e la custodia delle merci,  sotto pena  della  privazione  dell'esercizio  e  di una multa ed altre maggiori [pene] ad arbitrio nostro[10].

Verso  il 1721 fu concesso agli ebrei di C. di aprire botteghe sotto alle loro case all'esterno del  ghetto e di prenderne  in affitto nella parte opposta della strada di fronte al ghetto[11].

Dopo l'editto  del 1733,  emanato dal  cardinale Ruffo,[12] in cui, tra  l'altro, si  annullavano  tutte le mitigazioni concesse precedentemente rispetto al segno, gli ebrei di C. sollecitarono,   nel   1735,   un   addolcimento  di  tali provvedimenti,  giungendo   ad  ottenere  dall'Inquisizione Romana l'autorizzazione  a non  portare il  segno durante  i viaggi ed  altre facilitazioni,  compreso l'uso  di negozi e magazzini fuori del ghetto[13].

Nel 1735 un’ebrea centese, Mazaltov del fu Jacob Olivetti, sposatasi con Samuel  Ascoli  di Urbino, dopo la  conversione del  marito  tornò  a  C.,  dove  diede alla luce un bimbo, sottrattole per ordine delle autorità, dietro richiesta del marito, per  essere battezzato.  Poco dopo  il battesimo, il neonato morì e  la donna fu  isolata dalla famiglia e sottoposta   a   pressione,   sinché   non   acconsentì  a convertirsi  a  sua  volta.  Il  battesimo,  avvenuto  alla presenza del cardinale arcivescovo di Bologna e del  marito, ebbe un  carattere di  particolare solennità,  allo scopo di promuovere la conversione tra gli ebrei locali.

Nel 1774 il cardinale   Albani, decano del  Sacro Collegio, dichiarò Moise Carpi di C. suo famigliare con tutte le prerogative e onori ivi connessi[14].

Nel  1796 le  truppe  francesi  occuparono la provincia di Ferrara: tra  le  conseguenze dell'occupazione repubblicana per gli  ebrei di  C. vi  fu l'abolizione del segno color giallo o arancio che dovevano portare sul cappello[15].

Vita comunitaria

Nel 1505 Alfonso I d'Este  impose agli ebrei di C., come a quelli degli altri centri  minori, di contribuire alle imposte speciali e personali cui  erano obbligate  le comunità  più grandi[16].

I documenti fatti oggetto di indagine sino ad ora  risalgono alla fine del XVII secolo e riguardano le confraternite del ghetto: nel 1690 i componenti della  confraternita "Talmud Torah",  fondata  nel  periodo  tra  il  1667  e il 1675, si riunirono  per  fondare  la confraternita di misericordia e beneficenza "Ghemilut Hasadim", il cui capitolato constava di 21 articoli[17]. Nel  1727 venne fondata  la "Confraternita di studi Sacri della Misericordia", nata dalla fusione delle confraternite "Talmud Torah" e  "Ghemilut Hasadim", della quale sottoscrisse per primo il capitolato di 23 articoli Giuseppe Alessandro Modona[18].

Un editto del 1776 del cardinale legato Scipione Borghese, sollecitato dai massari  locali, dopo i tumulti scoppiati nel ghetto, allude alla struttura comunitaria e, al contempo, ne mette in  luce il difficile funzionamento. Dal testo si  evince  che  vi  erano   una  "Congregazione generale" ed una "Congregazione ristretta" che  presiedevano alla vita comunitaria e, in particolare, all'esazione  delle tasse.  I  massari  che  presiedevano  tali  "Congregazioni" erano,  tuttavia, ostacolati  nell'esercizio delle loro funzioni dall'insubordinazione  alla disciplina dei membri della comunità e,  in particolare,  dalle resistenze opposte alla tassazione.  Dall'editto  in  questione  risulta  che   tale situazione era inveterata e, pertanto, il cardinale  cercava di porvi  riparo, proibendo  agli eletti  di esimersi  dalle cariche pubbliche, assegnate loro dalle due "Congregazioni", e  dalla  partecipazione  alle  adunanze  stabilite,  sotto minaccia di  pene corporali  e pecuniarie,  queste ultime da devolversi per metà agli ebrei poveri del ghetto e per  metà  all'opera pia dei mendicanti cristiani[19].

Attività economiche

Con  la  condotta  del  1406  venne  concesso agli ebrei di prestare al tasso del 30%[20], mentre una rubrica degli Statuti di C. del 1490 vietava l'asportazione dei pegni non riscossi da mettere in vendita con asta pubblica[21].

Oltre  all'attività  feneratizia, veniva  testimoniata, nei documenti della seconda metà del XV secolo, l'attività di un medico, tale "Mosè teutonico", che ebbe in cura anche un ragazzo cristiano[22].

Dal  rapporto sulla  situazione finanziaria degli ebrei, redatto nel  1703 dietro  ordine  della  curia   romana, risultava  che  la  comunità  di  C.  dichiarava di avere un capitale  attivo  (20.000  scudi)  di  gran  lunga minore di quello valutato dal perito delegato all'uopo (82.000 scudi) stando al capitale degli Ebrei più facoltosi e cioè: Mosè Vita  Mieli  (Melli), i  fratelli Felis, i fratelli Modena, i Carpi e i Padoa[23].

Mosè Vita Melli  (vissuto tra il  XVII e l'inizio  del XVIII secolo), mercante, proprietario terriero e imprenditore, fu una figura di grande rilievo nell'economia centese, attivo, tra l'altro, nel prestito e  nell'incetta di granaglie[24].

Demografia

Dal censimento  del  1393,  fatto  per  conto del Comune di Bologna,  risultava   presente  a  C. il nucleo  familiare composto  da  Manuele  di  Gaudio  da  Roma e dalla moglie e quattro figli.

Per trovare qualche dato, sia pure parziale, sull'ammontare della popolazione ebraica occorre  attendere sino al 1636, quando nel rogito notarile relativo alla distribuzione degli alloggi  nel  ghetto, vengono menzionati tredici capifamiglia,  su  un  totale  di  circa  un  centinaio di persone[25].

Ghetto

Il  ghetto  di  C.  costituisce  un  esempio interessante di struttura  abitativa, costituita da  un  gruppo  di   case  prospiciente verso un cortile  principale  e su altri  due secondari di  dimensioni  molto  inferiori.  Gli unici due punti di accesso  al cortile erano  due passaggi coperti  da un ampio  voltone  che   sboccavano  da  un lato sotto i portici dell'attuale  via  Provenzali  (già  via  Grande), una delle principali arterie cittadine, e dall'altro sotto  i portici dell'odierna via Malgodi  (già  borgo “di Domani”).  Le abitazioni  del   ghetto  erano fornite  di   passaggi  di intercomunicazione  sia  tra  loro  sia  per  accedere  alla sinagoga[26].

Sinagoga

Nel 1520 il cardinale Raffaele Riario, camerlengo papale, concesse licenza a Leo e Giacobbe di Ventura Caravita, banchieri, di tenere una sinagoga privatea nei loro domicili di Bologna e di C., confermando un'altra licenza concessa loro dal cardinale Giuliano Rovere. La presenza di una  sinagoga a  C. è  documentata nel 1636: sita in via  Provenzali (già via  Grande), era arredata  con pezzi  pregevoli,  tra  cui  un’arca santa di  legno intagliato risalente alla metà del secolo XVIII, trasferita attualmente in una sinagoga di Natanyah, in Israele[27].

 

Cimitero

Una fonte locale riporta che l'Università degli ebrei di  C. acquistò un terreno ad uso cimiteriale nel 1689. Nel 1691 i massari ottennero dalle autorità  di  poter edificare  nel terreno non usato per le sepolture una casetta da usare, in parte, per i riti funebri e da affittare "a Christiani" che, oltre a  coltivare la terra adiacente alle sepolture, avrebbero sorvegliato  il cimitero[28].

Nel 1743 venne sepolto in questo cimitero il rabbino Immanuel Gay Ricchi, ferrarese, cabbalista insigne, ucciso, secondo  quanto  narra  la tradizione, mentre stava viaggiando da Bologna a Modena per raccogliere fondi per la yeshivah che intendeva fondare a Gerusalemme[29].

<pDotti, rabbini e personaggi di rilievo

Nel XIV secolo, Yitzhaq ben Shelomoh terminò a C. l'opera di puntazione vocalica di un Machzor (libro di preghiera per i giorni festivi) secondo  il rito romano. Nel XV secolo  il grammatico Yosef Zarq, esule dalla Spagna, abitò per qualche tempo a C., dove,  nel 1429,  compose l'opera Rav  Pealim (Grande nelle opere).

Nel 1461  l'amanuense Yitzhaq  ben Yoel  da C.  copiò qui l'opera satirica in prosa  Even Bohan (Pietra di  paragone) di  Qalonymos  ben  Qalonymos.  Nel  1499 David Menahem da Arles terminò di copiare a C. un Siddur (libro di preghiere) per Bona di Bonaventura ben Shelomoh dei Chazaqetti o Hazaqetti (Forti) da  Este,  noto  come  il  Siddurello,  considerato  uno dei documenti  più  interessanti  del  giudeo-italiano. Nel XVI secolo,  un   copista  anonimo   terminò  a   C.  una  copia dell' epitome di Averroé dell' Organon di Aristotele, tradotto da Yaaqov ben Abba  Mari  Anatoli.

Reuven ben David da Perugia scrisse a C., nel 1569, un quesito contenuto in  un manoscritto di  responsi di  Mosheh ben  Avraham Provenzali.

Nel 1583, l'amanuense  Yishmael ben Shelomoh  Hazaq (Forti) copiò a  C. alcune opere cabalistiche in un  manoscritto contenente un poema per l'uscita del sabato di Binyamin  ben Avraham  Anav,  l'epitome   di  Shemuel  Gallico del Pardes Rimmonim (Il giardino dei melograni) di Mosheh Cordovero, il Sefer  ha-tzeruf  (Libro  della  congiunzione) attribuito ad Avraham ben Shemuel Abulafia (copiato, tuttavia, quando il copista si  trovava nella  provincia di  Mantova) ed il Perush Shiur Qomah (Interpretazione allo Shiur Qomah) di Mosheh ben Eliezer.

Nel  XVIII  secolo  David  Avraham  Marcaria e il fratello copiarono a C., nell'anno  1718, alcune norme relative alla macellazione in forma di quesiti e responsi e altre sentenze in  materia  di  Yaaqov  Weil.  In  occasione delle nozze di Yehudah Gayyim Sonnino  e di Ester  Modona, celebrate a  C., nel   1771,   venivano   scritte   poesie,  raccolte  in  un manoscritto[30]

Nel XVII secolo fu rabbino di C. Netanel Segre di  Chieri, autore del libro di decisioni  casuistiche Afar Yaaqov, dedicato al padre, il rabbino Yaaqov Aron Segre di  Chieri[31].

Nello stesso secolo risulta essere  vissuto a C. il rabbino Elia Daniele  Del Bene (De-Boni), autore di decisioni  rabbiniche contenute nel Pahad Yitzhaq del  Lampronti sotto l’acronimo “Adam”[32].

Gamliel Monselice, che fu  anche Rabbino Maggiore a Parma, scrisse un  commento sul  Pereq shirah, dal  titolo Siftei renanot  (Labbra  gioiose),  stampato  insieme  al libro del padre Tehilot ha-shem (Lodi  del Signore), menzionato in  un manoscritto del Del Bene,  e, secondo una fonte, fu rabbino molto influente a C.[33].

Netanel di Meshullam Levi  di Modena,  rabbino in  svariate località, tra  cui C.,  risulta citato  più volte  nel Pahad Yitzhaq[34].

All'inizio del XVIII secolo  fu rabbino a C. Isaia Bassani, figlio del  rabbino  Israele  Ezechia (discepolo di Mosè Zacuto e Yehudah  Briel), citato frequentemente nel Pahad Yitzhaq, autore dell'opera manoscritta Mishpat  le Ashuqim.[35]

Nel  XVIII secolo fu rabbino a C. anche Israel Berakhyah  Fontanella, autore dell'opera  Maftehot ha- Zohar[36]. Vissero per qualche tempo qui anche Rubino di Zerakhyah Jacchia, ricordato nel Pahad Yitzhaq per un consulto steso in  età  assai  giovanile,  e  Salomone  David  di Moise Del Vecchio,  di  Lugo,  poi  passato  alla carriera rabbinica a Lugo.

Infine,  ebbe  rilievo  nella  comunità  centese  Giuseppe Alessandro  Modona  (Modena),  che,  tra  l'altro,  ricoprì gratuitamente la carica di  vice-rabbino: il figlio, Isach Mordechai Modona, spiccò  nella comunità  locale per la  vasta  erudizione  e  gli  studi  di  teologia morale[37].

D'origine centese era anche Beniamino Disraeli, emigrato in Inghilterra  nel  1748 il  cui  nipote  fu  lo scrittore e statista Benjamin Disraeli[38].

Bibliografia

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Volli, G., La comunità di Cento e un suo documento inedito del 1776, in RMI XVII (1951).


[1] A sostegno di questa ipotesi, tuttavia non corroborata da documenti, vi sono le opinioni di Steinschneider e di altri, nonché l'esistenza di una comunità ebraica a Ferrara nel XIII secolo (cfr. Steinschneider, M., Die hebräischen Übersetzungen des Mittelalters und die Juden als Dolmetscher, Berlin 1893 (repr. Graz 1956), p. 670; Broyde, J., e Elbogen, I., s.v. "Ha-Meati Nathan" in J.E.; Sarton, G., Introduction to the History of the Science, II, parte II, Baltimore 1931 (repr. 1950, 1953), pp. 853-854).

[2] Perani, M., Manoscritti e frammenti ebraici copiati o conservati a Cento e Pieve di Cento (sec. XIV-XIX), in  Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento, p. 95.

 

[3] Bellafiore o Belaflora,  viene anche designata come "da Civitavecchia". Campanini, A., Quod possit fenerari..., p. 163.

[4] Dal fatto che  Manuele di Gaudio veniva tassato, nel 1393, per il possesso di una casa e di un orto a C. risulta che, anche prima del 1406, gli ebrei erano tassati sugli immobili che possedevano (cfr. Muzzarelli, m.G., Ebrei a Cento in epoca medievale, in : AA.VV.,  Ebrei a Cento e Pieve di Cento tra medioevo ed età moderna, p. 16.   

[5] Copia autenticata di tale Bolla si trova all'Archivio comunale  di Cento, vol. 1/4/13, a. 1733 (cfr. Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 27, n. 27).

[6] Non essendo indicato nella documentazione il patronimico di Abramo, questi può essere identificato solo in via ipotetica come "Abraam Roxelli" o  Abramo Roselli di Ferrara (Ivi, p. 23).

[7] Ivi, p. 25. Per tutte le notizie relative agli ebrei di Cento, dalla fine del XIV secolo sino alla fine del XV, cfr. ivi, pp. 13-25.

[8] Cfr. Calzolari, R., Gli ebrei a Pieve di Cento nel secolo XVI, in  Calzolari, R. - Campanini, S. - Levi, P., Perani, M. ( a cura di), Gli Ebrei a Pieve di Cento, pp. 20-37, p. 37.

[9] Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 43.

[10] Ivi , p. 76.

[11] Per i dettagli relativi a questa ordinanza, cfr. ivi,  pp. 107-108.

[12] Per i dettagli di tale editto, v. la voce "Ferrara".

[13] Pesaro, A., Memorie storiche della comunità israelitica ferrarese, p. 53; Perugini,  L'inquisition romaine et les Israélites, p. 102.

[14] Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, pp.109-110.

[15] Ivi, p. 110.

[16] Kaufmann,  D., Contributions à l'histoire des Juifs en Italie, p. 35.

[17] Servi, F., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 265. Un Pinkas della confraternita "Talmud Torah" del 1693- 1763 ci è rimasto (ms. Kaufmann, 337): Cassuto, EJ, alla voce "Cento".

[18] Levi, P., Il cimitero ebraico di Cento, in Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 191-227, p. 201; Servi, op. cit., p. 266.

[19] Il testo dell'editto e stato pubblicato da Volli, G., La comunità di Cento e un suo documento inedito del 1776, pp. 207-209.

[20] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 16. La Campanini, riferendosi alla medesima condotta, riporta che il tasso di interesse mensile per I residenti era di 6 denari per lira; quello per prestiti fatti al comune era di 4 denari per lira, mentre il prestito massimo da concedere al comune era di 50 lire. Campanini, A., op. cit., p. 186.

[21] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 24.

[22] Ivi , p. 22.

[23] Bruzzone, P.L., Les Juifs des Etats de l'Èglise au XVIII siècle, p. 248.

[24] Sul Melli, v. Angelini, W. Una lezione da alcuni contratti di Mosè Vita Melli (1661-1704) e dal suo testamento, in  AA.VV., Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 63-77.

[25] Pesaro, A., Cenni storici  sulla  comunità israelitica  di Cento, p. 107.

[26] Per una descrizione particolareggiata delle disposizioni relative al ghetto, si vedano i “Capitoli sopra il ghetto degli Hebrei di Cento” emanati dal cardinale legato di Ferrara il 18 agosto 1636 , in  Pesaro, A., op. cit., pp. 74-76. Per uno studio sul ghetto di C., cfr. Faccioli, F.- Martinoni, G., Il ghetto e la città, in AA. VV. Gli Ebrei a Cento e  Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 243-255.

[27] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1288; cfr. Volli, G., op. cit., p. 207; Nahon, U., Angoli dell'Italia ebraica in Terra d'Israele, p. 108.

[28] Questo documento conferma quanto è già stato rilevato  per Ferrara sulla consuetudine di affittare a cristiani il terreno adiacente al cimitero, per consentire al locatario di coltivarlo e, al contempo, di sorvegliare il cimitero. Levi, P., Il cimitero ebraico di Cento, in AA.VV., Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento, p. 200 e p. 225, n. 40.

[29] Ivi,pp. 200- 201.

 

[30] Perani, M., Manoscritti e frammenti ebraici copiati o conservati a Cento e Pieve di Cento (secc.XIV-XIX), in AA.VV., Gli Ebrei a Cento e a Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 93-156, pp. 96-99.  Per l'elenco dei  manoscritti ebraici, che non è assodato se siano stati scritti a C., in cui vi sono notizie relative alla località, cfr. ivi, pp. 100-102. Per i manoscritti medievali di probabile origine bolognese, rinvenuti a C., cfr. ivi, pp.  104-129.

[31] Dalla prefazione dell' Afar Yaaqov risulta che il Segre, non potendo pubblicare l'opera per mancanza di fondi, ne fece omaggio al rabbino Abramo Rovigo di Modena. Molte delle sue decisioni rituali sono riportate nel Pahad Yitzhaq (cfr. Servi, F., op. cit., pp. 265-266).

[32] Servi, F., op. cit., p. 265.

[33] Ghirondi, S. -Neppi, H., Toledot Ghedolei Israel p. 72; Pesaro, A.,  Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 174.

[34]  Ghirondi, S. -Neppi, H., op. cit., p. 273.

[35] Ivi, p. 151; Pesaro, op. cit., p. 175.

[36] Ghirondi, S. -Neppi, H., op. cit., p. 163.

[37] Ivi, 183; Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità  di Cento, pp. 174-175.

[38]  Roth, C., EJ, alla voce “D’Israeli Isaac”.

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