San Giovanni Valdarno

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San Giovanni Valdarno

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San Giovanni Valdarno (סן ג'יובני ולדארנו), nella Toscana in provincia di Arezzo. All'origine (1296) si chiamava Castel San Giovanni. Venne edificato per conto di Firenze sui progetti che Arnolfo di Cambio elaborava per realizzare gli avamposti del governo centrale, le "terre nuove fiorentine".

Dopo aver ottenuto la concessione di un banco feneratizio ad Arezzo, nel 1399, Gaio di magister Angelo da Siena otteneva, presumibilmente, l’autorizzazione a esercitare il suo commercio a S.G.V., aprendovi una bottega.[1] In seguito, è attestato il prestito ebraico nella località nel corso del XV secolo[2]

Nel 1481, Emanuele di Bonassisi ( o Manuele di Buonaiuto o “Manuellino”) di Salomon da Camerino era titolare del banco; due anni dopo, figurava implicato nelle attività del banco anche Dattero di Salomone di Vitale da  Camerino, figlio di uno dei fratelli di Manuele.[3]  Manuele, oltre che proprietario del banco  fiorentino della Vacca, aveva condotte feneratizie in una serie di località toscane, tanto che, nel suo caso, si è ritenuto legittimo parlare di “Casa bancaria”.[4] Ricco e colto, Manuele  aveva  una lussuosa dimora anche a S.G.V., dotata di una ragguardevole biblioteca. In rapporti epistolari con molti dotti della sua epoca, fu di ingegno vivace e versatile, come si evince dal suo cimentarsi nella poesia in ebraico, di cui ci resta un  inno liturgico, composto secondo gli schemi tradizionali del genere in uso all’epoca.[5]

Al termine degli anni Settanta o all’inizio degli anni Ottanta del XV secolo,  gli Otto di Guardia e Balia di Firenze intervenivano prontamente per far cessare le prediche di un monaco che, a S.G. V., aizzava la folla contro gli Ebrei.[6]

Nel 1491, è attestata la continuazione del prestito ebraico a S.G.V.[7]

Dopo che nel 1527 i banchi feneratizi erano stati obbligati a chiudere, il prestito ebraico tornava a essere autorizzato, una ventina d’anni più tardi, con le concessioni feneratizie rilasciate agli Abravanel; la tassa feneratizia fissata  per l’esercizio del banco di S.G.V. era di 200 scudi, cumulativamente con altri banchi toscani di proprietà degli Abravanel[8] In seguito fu titolare del banco Leone di Abramo da Pisa, in società coi fratelli Laudadio e Mosè, mentre l’”agente principale e ministro” ne era David di Raffaello da Reggio e il mallevadore  Simone di Laudadio da Rieti.[9] Nel 1566, il banco di S.G.V. risultava  tra i banchi dei da Pisa che non erano stati chiusi in seguito alla pretesa delle autorità di ridurre eccessivamente l’interesse feneratizio.[10]

Il decreto di Cosimo I del 1570 venne notificato in una serie di località, tra cui, S.G.V.[11]

Tra i titolari e gli amministratori dei banchi processati da Firenze per molteplici violazioni ai patti feneratizi stipulati, vi erano anche gli Eebrei di S.G.V.[12]

Nel 1570, risultavano esservi 24 Ebrei a S.G.V.[13]

Bibliografia

Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze 1918; Luzzati, M, La casa dell’Ebreo, Pisa 1985;  Salvadori, R., Presenze ebraiche nell’Aretino dal XIV al XX secolo, Firenze 1990.


[1] Molho, A., “A Note on Jewish Moneylenders  in Tuscany in the Late Trecento and Early Quattrocento”, in Id. E Tedeschi, J. A. ( a cura di), Renaissance Studies in Honor of Hans Baron, Dekalb, Illinois, 1971, pp. 99-117, p. 105.

[2] V. Ciardini, M., I banchieri ebrei  in Firenze nel secolo XV  e il Monte di Pietà fondato da Girolamo Savonarola, Borgo San Lorenzo 1907, p. 5; Salvadori, R., Presenze ebraiche nell’Aretino dal XIV al XX secolo, p. 31. 

[3] Salvadori, op. cit., pp. 34-35.

[4] Ivi, p. 43.

[5]  V. Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, p. 260-263.

[6] Ivi, p. 204; cfr. Salvadori, op. cit., p. 49.

[7] V. Ciardini, op. cit., p. 83.

[8] Luzzati, M, La casa dell’Ebreo, p. 277.  

[9] Salvadori, op. cit., p. 56.

[10] Luzzati, op. cit., p. 285.

[11] Salvadori, op. cit., pp. 60-61, n. 22.

[12] Ivi, p. 62.

[13] Luzzati, op. cit. , p. 272, n. 14.

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