Bevagna

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Bevagna

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Bevagna (בוואניה)

In provincia di Perugia.

Sorge presso un’ansa del torrente Tirnia, sul margine occidentale della pianura percorsa dal Chiasco e dal Topino, di cui il Tirnia è affluente.

Chiamata anticamente Mevania fu centro umbro e, in seguito, municipio romano. Fece parte del ducato di Spoleto. Erettasi a comune nel Basso Medioevo, fu sotto l’egemonia di Perugia, cui tentò di ribellarsi (nel 1381 e poi spesso). Passò, per qualche tempo sotto i Trinci, signori di Foligno e, da ultimo, venne riunita ai territori della Chiesa.

Un primo cenno della presenza ebraica a B. si trova in un documento del 1324, da cui si apprende che Consiglio di B. rappresentava gli Ebrei del ducato di Spoleto e, in tale veste, pagava al Rettore del ducato 160 fiorini d’oro  per ottenere la protezione della Chiesa e il salvacondotto per per risiedere e viaggiare liberamente nel territorio ducale.[1] 

Da un documento posteriore di quasi un cinquantennio( 1371), risulta che alcuni Ebrei di Spoleto, tra i quali tale Abramo di Salomone di B., detenevano dei diritti su alcuni terreni a B.[2]   

A partire dal  1435, si trovano menzionati in documenti, generalmente relativi all’attività feneratizia, alcuni Ebrei  residenti a B. : Mosè, Ventura di Mosè e Abramo di Isacco, figlio di Magister Musetto di Perugia, che, dalla fine degli anni Cinquanta del XV secolo, fa la sua apparizione a B., divenendovi per lungo tempo la figura dominante nell’ambito dell’attività feneratizia.[3]  

Nel 1466, Abramo di Isacco  manteneva la promessa, fatta al Comune di B., di pagare lo stipendio del podestà, che aveva terminato il suo incarico; inoltre,  Abramo risultava impegnato in prestiti ai privati.[4]

Nel 1469, Abramo era tra i rappresentanti della comunità ebraica del ducato di Spoleto che nominavano due procuratori per rappresentarli presso la Camera Apostolica a Roma, probabilmente in relazione agli arretrati relativi al pagamento della seconda vigesima, imposta da Pio II.[5] 

Nello stesso anno, veniva menzionato a B., in relazione all’attività di banco anche Samuele di Angelo.[6] 

Dalla seconda metà degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta del  secolo, Abramo di Isacco, oltre che impegnato nel prestito, risultava acquistare grano e vendere alcuni indumenti femminili; anche Giacobbe di Abramo compare in un documento relativo alla vendita di una camicia ricamata.[7]

In un documento del 1472, relativo a un prestito, veniva menzionato tale Dattilo di Aleuccio come residente a B.[8]

Sempre nel 1472, il Comune di B. prendeva una cifra in prestito da Abramo di Isacco; il fatto si ripeteva nove anni più tardi.[9]   

Il figlio di Abramo, Ventura, comprava, nel 1472, una casa con frutteto nel quartiere di S. Angelo, prendendo possesso di una parte dell’abitazione e affittandone la restante all’ex-proprietario. Quest’ultimo, inoltre,  risultava aver depositato 200 fiorini presso il banco di Abramo, che gli prometteva il pagamento di 25 fiorini all’anno.[10] Nello stesso quartiere di S. Angelo risultava avere casa Abramo, che vi faceva lavori di ingrandimento e di restauro.[11]     

Dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo, Abramo e figli e Ventura di Mosè compravano e vendevano terreni e vigneti; [12] Abramo, inoltre,  risultava acquistare bestiame bovino e darlo per il pascolo a cristiani, presumibilmente con contratti di soccida semplice.[13] Negli anni Settanta e Ottanta del secolo, è documentata l’attività creditizia di Abramo con i privati.[14]

Un cenno a un altro degli Ebrei di B., Ventura di Mosè, si ha in un documento del 1473, da cui si apprende che il genero di Ventura, Matassia di Magister Zucchero di Foligno, sperperava la dote della moglie al gioco. [15]

Nel 1481, Abramo di Isacco otteneva, insieme a Mosè di Manuele di Assisi, una condotta feneratizia ad Amelia, pur continuando la sua attività  a B.[16]

Tre anni più tardi, Abramo faceva testamento, stabilendo, tra l’altro, un lascito di 10 fiorini  al Comune di B., in segno di riconoscenza per l’atteggiamento benevolo tenuto nei confronti della sua famiglia. Dalla disposizione del testatore di essere sepolto nel cimitero ebraico di Perugia, si può inferire che non  vi fosse a B. un cimitero ebraico; tale supposizione  è corroborata dall’assenza di documenti relativi a un luogo di sepoltura ebraico nella località.[17]

Nel 1485,  fra Sancio, inquisitore francescano, si recava dal vicario del podestà di B., accusando i figli di Abramo, Daniele e Gabriele e il loro fratellastro Signorile[18]  di aver cercato di perpetrare un omicidio rituale, durante il Venerdì Santo. La vittima sarebbe stata un ragazzo del luogo, Pietro Antoniuccio di Liberato, che diceva di essere stato portato da una fanciulla ebrea, Zingara di Ricca, nella casa di Daniele, nel quartiere S. Angelo. Qui sarebbe stato percosso da Daniele, crocifisso a una croce di legno  e ferito alle mani e ai piedi con  un bastone appuntito. Dall’esame dei testimoni risultava che il padre del ragazzo, Liberato Allevoli, assente da casa al momento in cui sarebbero avvenuti tali fatti, sosteneva di aver sentito al suo rientro il racconto della disavventura di Antoniuccio; la madre, Allegrezza, affermava di essersi recata da Daniele per restituirgli del denaro e di essere stata a sua volta percossa dall’Ebreo. Venivano poi a deporre la loro testimonianza alcuni cristiani, tra cui due religiosi, che affermavano di aver sentito i fatti da Antoniuccio; un altro teste, un medico cristiano, sosteneva che vi era stata una riunione di circa 25 Ebrei, locali e forestieri, a casa di Daniele, durante il Venerdì Santo. Un ulteriore gruppo di testimoni riferiva di aver visto, nello stesso Venerdì Santo, quattro Ebrei bere e gozzovigliare, a casa di Daniele. La corte inquisitoriale, in un’ulteriore riunione, valutava la possibilità che gli Ebrei accusati cercassero di fuggire da B., trafugando i propri beni; un teste riferiva di aver visto un Ebreo forestiero sgusciare dalla casa di Daniele, all’alba del lunedì, portando sul dorso un pesante fardello, e galoppare via per una strada segreta verso la porta di S. Giovanni.  Successivamente, l’inquisitore francescano, fra Battista da Terni, ordinava al podestà di B. di mettere sotto custodia Daniele, Gabriele e Signorile, perché potessero essere, poi, imprigionati  nel monastero di S. Francesco a B.; in caso di mancata collaborazione con l’inquisitore,  il podestà sarebbe stato multato per 100 ducati d’oro e scomunicato.[19] 

Poco dopo, Raffaele di Isacco da Spoleto, procuratore degli Ebrei incriminati, si recava dal podestà di B., recandogli delle lettere del Commissario Apostolico, che elargiva consigli rispetto al  comportamento da doversi tenere in quel frangente; nel 1486, i tre Ebrei accusati risultavano imprigionati a Orvieto; il Papa nominava tre rabbini romani ( Magister Ventura, Magister  Aleuccio di Magister Angelo e Magister Dattilo Piattelli) perche rappresentassero gli accusati a Roma, pena 2000 ducati se si fossero rifiutati. Un fratello degli accusati, Bonaventura (Ventura), e il feneratore perugino  Ventura di Abramo promettevano ai tre rabbini di farsi garanti per loro.[20]

Nello stesso anno (1486) si convertiva al cristianesimo Stella, vedova di Ventura di Mosè di B.[21]

Presumibilmente, gli Ebrei accusati riuscivano a recuperare la libertà, perche dai documenti successivi essi -e, in particolare, Gabriele - risultavano essere impegnati nelle loro abituali attività, ivi compresi il prestito e la compra-vendita di beni immobili a B. e altrove.[22]

Da un documento del 1502, risulta che Gabriele era proprietario del banco di Amelia, di cui era gestore Gabriele di Elia da Perugia; la condotta veniva riconfermata, nello stesso anno,  per ulteriori venti anni,  a Gabriele di Abramo da B., mentre Gabriele di Elia continuava la gestione del banco.[23]

Nel 1504, l’inquisitore francescano Galeotto interrogava un mendicante,  ricoverato nell’ospedale di B., che lanciava fumose accuse contro gli Ebrei; dalle indagini che ne derivavano, risultava che il mendicante era stato vittima di una sorta di allucinazione,  immaginando di essere stato crocifisso dagli Ebrei.[24]

Nello stesso anno, Gabriele di Abramo figurava tra gli Ebrei del ducato di Spoleto, che nominavano un procuratore che li rappresentasse presso la Camera Apostolica romana, per cercare di sottrarsi al contributo ai giochi carnevalizi dell’Agone e Testaccio.  Nel 1508, Gabriele era tra gli arbitri nel contenzioso degli Ebrei superstiti della comunità di Perugia circa i prodotti di un terreno appartenente alla comunità perugina.[25]

Quattro anni più tardi (1512), compare in un documento Mosè di Abramo ( da non confondere con Abramo di Isacco ),  come impegnato a fenerare nella località. 

Da  documenti del 1529-1530 si deduce che il banco di B. era nelle mani di Isacco da Spoleto, che figurava tra gli eredi di Abramo di Isacco di B.; presumibilmente un contenzioso doveva essersi aperto tra Isacco e il Comune, che, infatti, lo esortava  a tornare nella città, riaprendovi il banco; qualora Isacco non avesse obbedito, come punizione avrebbe perso gli interessi dei suoi crediti coi cittadini di B. Isacco, dal canto suo,  chiedeva alle autorità di B. di concedergli una condotta, ma il Consiglio Generale di B. non sembra aver preso in considerazione tale ipotesi.

L’ultimo cenno a una presenza ebraica a B. si trova in un documento del 1565 ( relativo al pagamento della tassa per i giochi carnevalizi dell’Agone e Testaccio), dove veniva menzionato Israel di Vitale da Recanati, residente a B.[26]


[1] Toaff, The Jews in Umbria,  doc. 108.

[2] Ivi, doc. 239.

[3] Ivi, docc. 895, 924, 1139, 1198, 1139, 1198, 1280, 1402, 1418, 1425, 1427, 1430.

[4] Ivi, docc. doc. 1443, 1445, doc 1449, 1452, 1453.   

[5] Ivi, doc. 1509; v. ibidem, Nota.

[6] Ivi, doc. 1512.

[7] Ivi, doc. 1442, 1515, 1547, 1711, 1732.

[8] Ivi, doc. 1595.

[9] Ivi, doc. 1611, 1808.

[10] Ivi, doc. 1612.

[11] Ivi, doc. 1635. Già nel 1470, Abramo risultava aver acquistato del terreno nel distretto di B. Ivi, doc. 1549.

[12] Ivi, docc. 1708, 1715, 1716, 1776, 1778, 1782, 1848, 1851, 1852, 1860, 1873, 1874, 1877.

[13] Ivi, docc.  1681, 1763, 1788; anche uno dei  figli di Abramo, Daniele, a nome proprio e dei fratelli dava a un contadino cristiano del bestiame bovino, nel 1484. Ivi, doc.   1878.

[14] Ivi, docc. 1616, 1718,  1746, 1753, 1760, 1767, 1775, 1786, 1803, 1810, 1815, 1819, 1823, 1849. Nel 1475, Abramo prendeva un prestito di 150 fiorini da Aronne di Magister Salomone ( detto “ Zucchero”), residente a Foligno, impegnandosi a restituire la cifra entro un anno. Ivi,  doc. 1683.

[15] Ivi, doc. 1620.

[16] Ivi, doc. 1813.

[17] Ivi, doc. 1857.

[18]  Questi era figlio della moglie di Abramo, Ricca, e del suo primo marito, Elia di  Magister Bonaventura di Ferrara, resident a Perugia. V. ivi, doc. 1857.

[19] Ivi, doc. 1889. Sull’episodio di B. cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, docc. 1053, 1054. Va  rilevato che il dc. 1053 si riferisce all’imprigionamento di un Ebreo sotto l’accusa di aver avuto un figlio da una donna cristiana e di averlo circonciso, mentre il doc. 1054 parla dell’arresto di alcuni Ebrei, sospettati  di tentata  crocifissione di un fanciullo.  

[20] Ivi, docc. 1894, 1907.

[21] Ivi, doc. 1905.

[22]   Ivi, docc. 1965, 1970, 1971, 1975, 1976, 1994, 2016, 2055, 2063, 2069, 2082, 2085, 2110, 2136, 2138,  2142, 2143, 2144, 2161, 2170, 2184, 2251.  Nel 1497, Gabriele risultava vendere grano a cittadini di B. Ivi, docc. 2055, 2064. Nel 1494, Bonaventura (che non era stato implicato nell’accusa di tentato omicidio rituale ) faceva un prestito al Comune di B. ; l’anno succesivo Gabriele di Abramo veniva menzionato nei documenti in relazione all’attività del suo banco Ivi, docc. 2025, 2029.

[23] Ivi, docc. 2125, 2130.

[24] Ivi, doc. 2147.

[25] Ivi, docc. 2150, 2205.

[26] Ivi, docc. 2249, 2377, 2650.

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