Perugia

Titolo

Perugia

Testo

Perugia (פרוג'ה; פירושא[1] )

Capoluogo di provincia. D’antichissima  origine umbra, fu in seguito etrusca e romana. Contesa tra Bizantini e Longobardi, nel secolo XI divenne libero Comune, sottomettendo anche le vicine Città di Castello, Gubbio e Assisi. Nel 1400, P. si diede ai Visconti e, prima che questi morisse, si diede al papa, poi, a Ladislao di Durazzo (dal 1408 al 1414) ed infine a Braccio Fortebraccio che la dominò con il titolo di luogotenente della Chiesa sino alla morte, nel 1424. Nominalmente suddita del papa, P. fu retta da un’oligarchia nobiliare, all’interno della quale spiccarono i Baglioni e gli  Oddi, in sanguinosa lotta tra di loro, soprattutto verso la fine dell’ultimo ventennio del XV secolo. Nel 1500 Gian Paolo Baglioni, unico superstite della famiglia, falcidiata da un cruento dissidio interno, riprese il dominio della città, che dovette cedere, nel 1503, al Valentino. Leone X spartì con lui il dominio del centro, sinché non lo fece decapitare a Roma (1520). Dopo la morte di Malatesta Baglioni,  negli anni Trenta del XVI secolo, Paolo III decise di porre fine alla singolare posizione di P. rispetto alla Chiesa, imponendosi sulla città.   

Il primo documento attestante la presenza di un gruppo di ebrei a P. risale al 1262, quando il Minor Consiglio del Popolo dibatté il problema della liceità della presenza in città di questi ultimi e dei forestieri, che vi esercitavano l’attività feneratizia, giungendo alla decisione di espellerli[2]

Non sono rimasti documenti comprovanti l’avvenuta espulsione, ma è attestata nuovamente la presenza  ebraica a partire dal 1275, quando gli israeliti avevano prestato un’ingente somma al Comune, che se ne era servito per pagare il Comune di Trevi.  Influenti cittadini di P. ricevettero il mutuo per conto del Comune, impegnandosi personalmente a garantirne la restituzione. Dal documento risulta che le autorità cittadine  non volessero derogare dal principio stabilito di non tollerare ebrei nella città, in ottemperanza alle leggi canoniche che vietavano l’attività feneratizia: pertanto, essi avrebbero potuto rimanere solo sino alla restituzione del prestito in questione, e cioè per un lasso di tempo che venne stabilito in due mesi circa. Stante il conflitto di interessi tra i maggiorenti che si erano personalmente impegnati alla restituzione e chi voleva espellere immediatamente gli ebrei in conformità con gli statuti, il Comune decise di attendere il ritorno a P. della speciale ambasceria inviata al Papa per sentirne il parere. L’ambasceria tornò con il consiglio di prorogare la data della permanenza ebraica a P. e  così il Podestà ed il Capitano del Popolo furono esonerati dall’applicazione degli Statuti[3].   

Nel 1276 la casa dell’ebreo Isacco venne devastata da ignoti ed i canonici della chiesa di S. Lorenzo reclamarono su di essa dei diritti dinanzi al Consiglio Generale. Nel maggio dello stesso anno spirava, inoltre, la deroga relativa alla presenza ebraica in città, ma, dato che non era stato ancora saldato il debito pro facto Trevi, fu prolungato di ulteriori due mesi il termine, pur venendo ribadita la norma statutaria contro la presenza di ebrei a P. Il mese seguente, il Consiglio Generale decise che il Podestà ed il Capitano del Popolo, affiancati da cinque giudici e dieci debitori, fissassero la regolamentazione dell’attività feneratizia in città, mentre venivano temporaneamente sospese le norme dello Statuto concernenti l’espulsione degli Ebrei. Poco dopo, questi ultimi inviarono una petizione al Consiglio Generale perché potessero nominare dei procuratori per la riscossione dei crediti, ottenendo risposta favorevole, salvo che per il debito contratto con il Comune, per il quale rimaneva valida la norma statutaria.

All’inizio del 1277 il Capitano del Popolo bandì da P. gli israeliti, insieme ai ladri, ai malfattori e ai traditori: dall’atto non risulta se il debito fosse stato estinto[4].     
Da un documento del 1279, relativo agli statuti del Comune, in cui si faceva obbligo al Podestà di espellere gli ebrei, si deduce che essi fossero rientrati in città. Presumibilmente, inoltre, il decreto di espulsione non rimase in vigore a lungo, dato che nel 1284 la compagnia di prestito composta da Bonaventura di Beniamino, Fosco di Beniamino e Manuello di Abramo, a nome proprio e  degli eredi e soci, prestava una notevole somma ad un gruppo di cittadini. L’iscrizione in ebraico sul dorso del documento chiarisce che si trattava, in realtà, di un prestito al Comune e che i cinque perugini, cui veniva fatto elargito, si erano personalmente impegnati alla restituzione della somma ai prestatori. Qualche mese più tardi, Manuello di Abramo, Dattilo di Consiglio e Venturello di Giuseppe, anche a nome dei loro soci, prestavano un’altra somma ad alcuni cittadini ed anche in questo caso, l’iscrizione in ebraico attesta che il prestito era stato fatto al Comune. Poco dopo, la compagnia di Dattilo Rosso (“Rubeo”) di Beniamino, Dattilo di Consiglio e Venturello di Giuseppe (insieme ai soci, Fosco di Beniamino, Beniamino di Vitale e Manuello di Abramo) effettuava un prestito ad un altro gruppo di perugini: l’ingente somma cui arrivavano questi mutui era, probabilmente, destinata a coprire le spese della guerra con Foligno e per i lavori per lo sviluppo edilizio della città. Nel frattempo venivano effettuati anche prestiti ai privati e, nel 1285, veniva temporaneamente sospeso il capitolo che trattava dell’espulsione degli ebrei[5].

Passati due anni, il Comune di P. concesse la condotta feneratizia, le cui clausole prevedevano che  le leggi e i provvedimenti emanati o da emanarsi in futuro dal Comune contro i forestieri e le loro proprietà non venissero applicati agli ebrei menzionati nella condotta stessa o alle loro famiglie, mentre avrebbero dovuto essere applicati in toto i provvedimenti concernenti i cittadini di P, e che gli impegni assunti in questo senso  dal Comune sarebbero stati mantenuti anche dal Capitano del Popolo, dai Consoli delle Corporazioni  e dagli altri funzionari comunali. Inoltre, se il Comune avesse mancato alle sue promesse avrebbe dovuto pagare una ammenda di 10.000 marche d’argento, mentre gli ebrei, da parte loro, avrebbero accordato al medesimo un prestito di almeno 4.000 lire[6].

Poco prima della fine del XIII secolo, un ebreo (di cui non abbiamo il nome ) si convertì come Giovanni, facendosi frate e vivendo in carcere in volontaria segregazione[7].    

Nel 1310 i Priori di P. decisero di allibrare gli israeliti locali per un’imposta a forfait di 3.000 lire: nel documento veniva detto esplicitamente che la loro presenza era utile e necessaria ai privati e al Comune, soprattutto date le spese della guerra con Todi[8].

L’anno successivo, Comune chiese un prestito agli ebrei, di cui si fece garante un gruppo di cittadini. I banchieri perugini prestarono, in seguito, anche al Comune di Deruta e poi, nuovamente, a quello di P.: per pagare il mercenario Biagio de Luna (alias “Baisco”), che aveva guidato le truppe cittadine alla vittoria contro Spoleto, il Comune promise a Sabato di Abramo  il 25% di interesse se avesse prestato la somma necessaria. Nel 1314 e nel 1315 i Priori emisero, inoltre, disposizioni legislative per regolare l’esercizio del prestito in città da parte degli ebrei e degli altri forestieri[9].        

Nel 1317 Sabato di Abramo, Benamato di Lazzaro, Beniamino di Fosco e Salomone di Bonaventura vennero accusati di tentato omicidio nei confronti di tre cittadini, ma dalle indagini gli imputati risultarono estranei al fatto e, pertanto, furono prosciolti dall’accusa. Nel 1320 Sabato di Abramo et sotii vennero registrati nella lista comunale dei contribuenti con una tassa di 4.000 lire, che risultava essere una tra le più alte[10].

Dall’opera di uno dei più noti giuristi italiani medievali, Bartolo di Sassoferrato, che studiò ed insegnò a P. nella prima metà del XIV secolo e oltre, si apprende che tale Sabato ebreo fu ucciso qui e che il Comune mise una forte taglia sulla testa dei colpevoli: gli assassini finirono nelle mani della giustizia grazie alla delazione di tale Fornarolo, che, tuttavia, risultò  complice nel crimine[11].      

Nel 1330 si fece battezzare a P.  un ebreo d’origine romana, menzionato in un documento come Giovanni di Deodato ed anche un altro correligionario d’origine romana, menzionato come Lorenzo di Salomone, si convertì[12].

Nel 1342 lo Statuto perugino stabilì un trattamento molto severo per i feneratori ebrei  e comminò la stessa pena per  la donna cristiana che avesse avuto rapporti sessuali con un ebreo o con un lebbroso: l’entità della pena stessa, tuttavia, cambiava nella versione latina e in quella in volgare del testo[13].

Due anni più tardi 17 ebrei pagavano pagare la tassa feneratizia al Comune[14] e, nel 1351, quest’ultimo, per far fronte alle spese per la guerra contro Gubbio, prese un grosso prestito senza interesse da sei banchieri perugini[15].

All’inizio degli anni Settanta del secolo moriva a P., poco dopo esservi giunto in veste di legato pontificio, il “cardinale di Gerusalemme”, Filippo di Cabassoles, sul cui atteggiamento nei confronti degli ebrei vi era stato uno scambio di lettere tra il gruppo perugino e quello avignonese[16].    

Nel  dicembre del 1381 i Priori delle arti emisero un capitolato notevolmente favorevole agli israeliti, cui vennero accordati pro tempore (per un quinquennio)  il diritto di cittadinanza e quello al possesso di immobili, nonché numerosi privilegi, tra cui quello di non subire ulteriori imposizioni di prestanze, oltre quelle consuete imposte agli altri cittadini. In cambio, gli ebrei dovevano versare al Comune immediatamente una forte somma di denaro (500 fiorini d’oro). Nel capitolato figuravano i nominativi di 33 ebrei, in primis quello di Matassia di Sabato di Salomone, che era la figura più prestigiosa della Comunità locale[17].  Alla sua morte, avvenuta due anni più tardi, il Comune concesse al figlio Salomone ed ai parenti stretti di indossare, in via eccezionale, vesti nere durante il funerale. Dalle parole espresse dai Priori sappiamo che Matassia non solo aveva finanziato le spese di guerra della città, ma ne era stato anche consigliere negli affari politici ed economici[18].      

Nonostante le assicurazioni fatte nel 1381, il Comune impose agli ebrei una forte tassazione straordinaria (1.000 fiorini d’oro) per far fronte alla scorrerie della compagnia di ventura detta “della Rosa” e dei mercenari di Eustachio nel 1384[19]. Data la turbolenta situazione in cui si trovava P. in quegli anni, contraddistinti dal moltiplicarsi di sanguinose lotte intestine, i Priori obbligarono gli ebrei, l’anno successivo, ad una prestanza di 500 fiorini, per recuperare i castelli di Montone e della Fratta, ribellatisi alla città. Tra i feneratori cui il Comune pose la richiesta di finanziamento, spiccavano Deodato di Abramuccio, Elia di Daniele, Vitale di Beniamino e Jonathan di Agnoletto. Poco dopo, gli israeliti versarono al Comune altri 545 fiorini, destinati principalmente a finanziare le feste e le luminarie organizzate per celebrare la riconquista dei castelli[20].

In calce ai  nuovi ordinamenti e privilegi concessi nel 1385 ai feneratori figurava la lista di questi ultimi, aperta da Salomone di Matassia: nel nuovo capitolato il diritto di cittadinanza  veniva esteso per dieci anni[21].  

Nel 1386 gli ebrei dovettero prestare un’ulteriore somma (500 fiorini) per pagare gli stipendi delle milizie assoldate da P. per aiutare Siena contro una compagnia di ventura e, tre anni più tardi, dovettero versare altri 700 fiorini per le vettovaglie cittadine. Pochi anni dopo, furono poi ulteriormente costretti ad un esborso per  far fronte alle bande di Biordo Michelotti, finanziando le ambascerie dirette a questi ed al papa, che sortì l’effetto di far trasferire il pontefice a P. nel 1392 . I feneratori che avevano dato il denaro ebbero la ratifica dei privilegi loro concessi, venendo al contempo gravati di altre richieste finanziarie[22].

Il breve dominio visconteo (1400-1413) contribuì a risanare la situazione economica di P., dissestata dalla signoria di Biordo Michelotti alla fine del XIV secolo. Tra i maggiori creditori del Comune figuravano gli ebrei, sui quali era ricaduto l’onere finanziario della politica avventurosa di Biordo. Nel giugno 1402 i Priori li avevano così raccomandati alla clemenza del duca di Milano, affinché fossero loro restituiti i 1.000 fiorini d’oro prestati a suo tempo. Una delegazione fu inviata, a spese dei creditori, al Visconti per perorare la loro causa e, presumibilmente, la richiesta fu accolta.

I prestiti forzati al Comune, però, continuarono: ve ne furono ad esempio nel 1409 e  nel 1410 furono inclusi nella tassa stabilita dal Comune sulla città e sul contado e si chiese che tutti, a partire dai quattro anni d’età, corrispondessero 15 soldi[23].

Nel 1413 la Comunità ebraica di P. nominò procurator il famoso miniaturista Matteo di Ser Cambio[24] e nel 1416, quando il capitano di ventura Braccio Fortebracci, fuoruscito perugino, attaccò la città, il Comune impose un nuovo prestito forzato agli ebrei, sotto pena di una multa decuplicata rispetto alla somma chiesta. Fortebraccio, tuttavia, vinse e fu signore di P. dal 1416  al 1424: dopo un’iniziale irrigidimento contro gli ebrei, egli dovette farvi ricorso, imponendo loro un prestito ingente, che fu messo in atto, tra gli altri da Ventura, Guglielmo ed il medico Musetto di Guglielmo.

Nel 1425 arrivò a P. Bernardino da Siena, spinto, tra l’altro, dal clima di violenza e dall’anarchia in cui si trovava la città dopo la morte di Braccio: gli ebrei furono il capro espiatorio della situazione e il bersaglio delle sue virulente  prediche, dirette in particolare contro l’usura con un atteggiamento teso a dare un diverso peso a quella ebraica e a quella cristiana. Sotto l’influsso di Bernardino vennero redatti, nel 1425, i cosiddetti “Statuti di S. Bernardino”.

Martino V, che con le Bolle del 1419 e del 1422 si era assunto la difesa degli ebrei contro la predicazione dei frati, aveva del resto annullato le stesse nel 1423 e per questo motivo una commissione centrale delle Comunità italiane si riunì a P. tra il 1426 e il 1427, prendendo la decisione di raccogliere una somma da inviare al papa per ingraziarselo: risultato della  regalia fu la Bolla di protezione del 1429 .

Dovendo affrontare ingenti spese militari, intanto, nel 1428 il Comune aveva accantonato gli “Statuti di S. Bernardino”, rivolgendosi per un prestito straordinario ai cittadini più facoltosi e anche agli ebrei, tra cui Musetto di Magister Aleuccio, Consiglio di Abramo e Giacobbe di Elia.

Sei anni più tardi (1432) vennero approvati altri ordinamenti anti-ebraici, tra cui l’imposizione del segno distintivo e nuovi limiti in merito alle usure ed altre norme, ad esempio relative alla regolamentazione dell’acquisto dei vini.  Di fatto, però, il solo provvedimento ad avere seguito fu il segno, una rotella gialla (obbligatoria dagli 8 anni in su) per i maschi e cerchi alle orecchie e ei meze mantelgle al modo anticho, quando uscivano di casa, per le femmine.

L’anno successivo, furono presi ulteriori provvedimenti repressivi come il divieto di macellazione rituale e d’acquisto di carne macellata ritualmente al di fuori dei due macelli autorizzati dal Comune, il divieto di acquisto di mosto dai cristiani (se non fosse stata comperata tutta “la tinata dell’uva”), il divieto di esportazione dei pegni dalla città e del servirsi di balie e nutrici cristiane, il divieto di toccare la frutta che non avessero precedentemente comprato e il singolare divieto di vendere o donare lasagne ai cristiani[25].

D’altro canto fu imposto agli ebrei anche un prestito per il finanziamento dei soldati e per ridare impulso alle arti della lana, della seta e dei velluti, grazie all’arrivo di artigiani fiorentini (dopo la fine del lungo conflitto, più o meno esplicito, con Firenze)[26].

Nell’inverno del 1444 giunse a P. il francescano fra Jacopo della Marca, che vi tornò più volte nei 25 anni successivi, raccogliendo un gran successo di popolo con la sua  predicazione contro il prestito ebraico.

L’atmosfera anti-ebraica portò ai gravi fatti di violenza che turbarono il funerale di Magister Elia di Giacobbe di Porta S. Angelo, nel 1446 (30 luglio), quando il corteo fu attaccato a sassate dai facinorosi, poco prima che entrasse nel cimitero, con numerosi feriti tra gli ebrei e tra le guardie inviate dal Podestà e dal  Capitano del Popolo come scorta (due delle quali rimasero addirittura uccise). Il Consiglio dei Priori bandì i responsabili dell’attacco e ne confiscò i beni.

Presumibilmente in seguito alla predicazione di fra Jacopo vi furono comunque due conversioni, nel 1446, mentre nel 1448 ad arrivare in città fu fra Roberto Caracciolo da Lecce, noto predicatore, impegnato anch’egli nella lotta contro il prestito ebraico: nonostante il suo intervento i prestiti forzati continuarono[27].

Nel 1457 entrò in vigore una legge restrittiva sul prestito ebraico, ma, poco dopo, furono stipulati nuovi capitoli, nei quali figuravano come rappresentati del nucleo ebraico Magister Bonaventura di Magister Elia e da Abramo di Mosè da Sarteano[28].

Qualche anno dopo (1462) giunse a P. anche fra Michele da Carcano, invitato del vescovo Ermolao Barbaro, governatore di Perugia. La predicazione di fra Michele, volta principalmente contro gli ebrei e il prestito, fu particolarmente dura e lasciò profondamente scossi i magistrati e il popolo di P.: come conseguenza nello stesso anno la fondazione del Monte di Pietà.

Data la mancanza di fondi del Comune, il Monte avrebbe dovuto, però, essere finanziato da un ingente prestito ebraico: gli ebrei cercarono allora di tergiversare, mentre il vicario del legato pontificio a Roma si opponeva, per ovvie ragioni di coerenza morale. Tuttavia, il papa accordò, con tutta probabilità, l’autorizzazione a servirsi del denaro ebraico in questo frangente e gli israeliti concedettero il prestito, ricevendone in cambio l’autorizzazione a vendere i pegni ancora nelle loro mani[29].

Con l’avvento del Monte cessò il prestito ebraico ufficiale e cominciò quello semiclandestino, tant’è che,  nel 1463, i feneratori promisero di non esercitare sotto pena di una forte multa,  ma, nel corso del 1462 e del 1463, si registrarono svariate transazioni finanziarie da loro effettuate.  Un gruppo di prestatori, capeggiati da David di Dattolo della Fratta, residente a Deruta, si rivolsero addirittura al Papa, ottenendo il permesso di fenerare per sei anni, grazie ad un Breve del 12 giugno 1462: il Consiglio dei Priori ratificò il documento papale nel 1463. Nello stesso anno, gli ebrei dovettero autotassarsi per far fronte al contributo  imposto dal Papa a tutta la popolazione, per il finanziamento della crociata contro i Turchi[30].

Nel 1461 Mosè di Giuseppe di Spagna (o di Lisbona), di recente immigrato dalla penisola iberica, venne accusato di marranesimo da Emanuele di Samuele che sosteneva, dinanzi al tesoriere generale della Camera  Apostolica, che egli si era convertito al cristianesimo quand’era ancora in Spagna, mentre a P. era tornato all’ebraismo: processato, fu assolto.

L’anno seguente, Mosè subì nel proprio banco un furto di cospicuo valore, venendo anche percosso: i responsabili furono condannati in contumacia alla pena di morte[31].

Nel 1466 fu ribadito l’obbligo del segno[32] e nel  1467 predicò a P. l’agostiniano Alessandro d’Ancona: subito dopo fu registrata la conversione di Guglielmo, che prese il nome di Ludovico, e quella dei due figli, seguiti a breve distanza dalla madre, che in un primo tempo aveva rifiutato il battesimo. Non passò molto tempo e i due coniugi si unirono con un matrimonio, celebrato con grande pompa e con gran  partecipazione di popolo. Nello stesso lasso di tempo si convertì, insieme ai figli, anche un altro ebreo, prendendo il nome di  Felice. Nel 1474 toccò ancora ad un altro e, in favore dei convertiti, vennero elargiti sussidi.

Nel 1473 il gruppo di feneratori che aveva ottenuto dal Papa il privilegio di continuare a prestare per sei anni chiese al Comune la conferma dei precedenti capitoli, unitamente alla protezione contro gli abusi dei predicatori e la conferma del fatto di trovarsi sotto l’esclusiva giurisdizione dei Consoli e degli Uditori del Cambio: le richieste vennero accolte ed i capitoli confermati[33].

Nel 1480 Sisto IV impose agli ebrei, tra cui anche quelli di P., il versamento triennale della decima su tutti i redditi, per contribuire alle spese della crociata contro i Turchi.

Cinque anni dopo, giunse a P. fra Bernardino da Feltre, che vi tornò in visita durante i tre anni successivi[34].

Forse proprio in seguito alla predicazione di Bernardino, nel 1486 fu ribadito severamente l’obbligo del segno distintivo e fuvietato agli ebrei di fabbricare dadi e carte per il gioco[35]. Non va dimenticato, infatti, che già meno di 15 anni prima, Musetto di Mosè da Bevagna era stato accusato di aver aperto nella propria abitazione una bisca, frequentata anche da Buonaiuto di Mosè da Sarteano e Samuele di Giacobbe di Francia, membri di due famiglie ebraiche perugine particolarmente in vista. I giocatori erano stati condannati a forti pene pecuniarie e l’anno successivo era stato condannato anche Dattolo di Manuele d’Assisi per aver ripetutamente giocato d’azzardo nella casa di Ser Domenico (detto Tribulo), evidentemente un cristiano[36].

Nel XVI secolo le tasse richieste dalla Chiesa (oltre alla vigesima per la crociata contro i Turchi), furono quella per i giochi dell’Agone e Testaccio e del Carnevale e la sovvenzione per la Casa dei Catecumeni di Roma: nel 1515 Leone X, con un Breve, autorizzò a perseguire legalmente gli ebrei umbri, tra cui quelli perugini, che tardavano a versare la tassa per i giochi[37].

Negli anni Trenta del Cinquecento secolo scoppiò un contenzioso che, da locale, si sarebbe allargato sino a coinvolgere le autorità rabbiniche italiane e che verteva sulla validità della promessa matrimoniale fatta da Rosa di Giacobbe da Montalcino, appartenente ad una delle più antiche e prestigiose famiglie perugine, all’ebreo pesarese Isacco di Meir Ashkenazi da Note. La controversia ebbe termine con un compromesso, firmato da ambo le parti, nel 1535, alla presenza del rabbino Hananel  Sforno di Bologna e dei rabbini umbri Mosè di Isacco Norsa e Mosè Nissim da Foligno[38]. Un’analoga controversia, che impegnò le autorità rabbiniche italiane e fece grande scalpore, fu, una quindicina di anni dopo, quella tra Ventura o Venturozzo (Shemuel) di Mosè da Perugia e Tamar, figlia del medico veneziano Yosef Ha-Cohen Tamari[39].   

Divenuto Papa, Paolo IV  Carafa emise la Bolla antiebraica Cum nimis absurdum (1555) e  si premurò che venisse applicata rigorosamente in tutti i territori pontifici, tramite l’invio di commissari speciali. La morte di Paolo IV fu accolta con sollievo dagli ebrei perugini, così come l’avvento al trono pontificio di Pio IV, che cercò di mitigare le misure prese dal suo predecessore. Il suo successore Pio V, però, anch’egli proveniente dalle file dell’Inquisizione come il Carafa, segnò un nuovo periodo di difficoltà per gli ebrei. Con  la Bolla Romanus Pontifex del 1566 ripristinò le disposizioni restrittive di Paolo IV, esortando le autorità cittadine ad applicarle rigorosamente nello Stato pontificio. Nello stesso anno, il Camerlengo di Sacra Romana Chiesa, cardinale Vitellozzo Vitelli, si rivolse al Governatore dell’Umbria a P.  per far eseguire le disposizioni papali e, in primis, quella relativa all’abbassamento dell’interesse feneratizio, esortando al contempo il Governatore a non far fuggire gli ebrei da P. e dal contado, per paura che portassero via con loro i pegni non riscattati[40].

Nella vigesima che Clemente VII aveva raccolto tra gli ebrei dello Stato Pontificio, nel 1535, non figurava  il contributo di quelli perugini, che presumibilmente avevano chiesto una dilazione.

Sei anni dopo (1541) il cardinale Guido Ascanio Sforza si rivolse agli israeliti di P. perché pagassero con solerzia la vigesima per la crociata contro i Turchi. Anche circa il contributo annuale per la Casa dei Catecumeni gli ebrei risultavano allora in debito e l’accumularsi dei debiti nei confronti della Camera Apostolica fece sì che essi decidessero di vendere parte di quanto rimaneva dei beni comunitari.      

I soldi ricavati dalla vendita di parte del cimitero e gli argenti della sinagoga furono consegnati dal capo della Comunità, Raffaele di Dattilo di Salomone da P.,  a  Giuseppe di Orso Sacerdoti da Montagnana, che avrebbe dovuto saldare i debiti con Roma. Tuttavia, Giuseppe di Orso non portò a termine la missione e fu denunciato per appropriazione indebita dalla Comunità di P., venendo processato e condannato nel 1569[41].

Nello stesso anno,  Pio V, con la Bolla Hebraeorum gens,decretò l’espulsione degli ebrei dallo Stato Pontificio, eccetto che da Roma e Ancona.  La condanna di Giuseppe di Orso coincise con lo spirare dei tre mesi di tempo che erano stati concessi prima di abbandonare il territorio e, essendo stato accolto il ricorso di Giuseppe d’Orso contro la sentenza di colpevolezza, gli ebrei peugini dovettero andarsene senza recuperare il denaro che era stato loro sottratto. Del resto, tutte le proprietà  immobiliari ebraiche furono confiscate dopo l’espulsione e Giuseppe di Orso, invece, uscì dalle carceri romane per tornare a P., dove gli venne concesso di riprendere l’attività feneratizia.

Sisto V, Papa nel 1585, consentì, l’anno seguente, con il motu-proprio Christiana pietas, il ritorno degli ebrei, cui venne concesso l’esercizio di qualsiasi mestiere, compreso la medicina nei confronti di pazienti cristiani e la facoltà di istituire sinagoghe e scuole e possedere cimiteri, in cambio del tributo di 20 giulii per ogni uomo dai 15 ai 60 anni. Successivamente venne imposto un testatico di 20 giulii annui e la consueeta tassa per le feste dell’Agone e Testaccio.

Con motu-proprio del 1589, Sisto V consentì, inoltre, ai prestatori che fossero tornati nei territori pontifici di aumentare il tasso feneratizio. Sull’onda di questi provvedimenti giunsero a P. alcune famiglie ebraiche.   

Il rientro comportò alcuni problemi alle autorità perugine: non potendo restituire loro le case e la sinagoga che erano appartenute alla Comunità, passate, ormai, in mano cristiana, dovette scegliere un luogo dove potessero risiedere. Non essendo il numero degli ebrei tale da giustificare l’istituzione di un ghetto, venne eletto un comitato di tre cittadini per sceglierne il luogo di residenza: nel 1590 venne permesso agli Ebrei di occupare  alcune case appartenenti al convento di S. Agostino, nel vicolo o “rimbocco di Pianta Rosa”, sito in contrada La Cupa[42].

Due anni dopo, tuttavia, Clemente VIII ripristinava le disposizioni antiebraiche dei suoi predecessori e, l’anno successivo (1593), con la Bolla Caeca et obdurata, espulse gli ebrei dai suoi territori, fatta eccezione per Roma e Ancona[43].      

Vita comunitaria

Il primo documento in cui viene menzionata esplicitamente l’Universitas Ebreorum civitatis Perusii (  mentre prima era stata usata solo l’espressione Judei  civitatis Perusii) risale al 1394 e da esso si apprende anche della nomina di Dattilo di Salomone come rappresentante per il disbrigo delle pratiche amministrative[44].

Nel XV secolo la Comunità era governata da un consiglio elettivo di due o tre membri, denominati nei documenti ebraicirashim  e in quelli latini in vari modi, tra cui principalmente sindici et offitiales. Le loro mansioni andavano dall’amministrazione dei fondi comunitari alla rappresentanza nelle trattative con il Comune per il rinnovo dei capitoli (assumendo l’appellativo di procuratores) e alla distribuzione delle varie tasse tra i membri della Comunità (assumendo l’appellativo di collectores).

Talvolta, insieme a 2 o 3 sindici et procuratores, compariva anche un altro funzionario o collector per l’esazione delle tasse. Vi era, inoltre, anche un tribunale rabbinico di 3 membri (judices), che decideva in fatto di Legge ebraica. Le riunioni dei membri della Comunità avvenivano non a scadenza periodica, ma a seconda della necessità, e richiedevano la presenza di più dei due terzi dei membri.

Oltre alle contribuzioni ordinarie e straordinarie al Comune e alle tasse da pagare alla Santa Sede, la Comunità imponeva tasse per le esigenze degli ebrei italiani, se del caso, e per le  spese comunitarie: la raccolta di fondi per l’assistenza ai poveri (zedaqah) spettava al collector [45].         

Attività economiche

Gli ebrei furono attivi principalmente nel prestito e, da un frammento degli statuti di P. del 1308,  risulta che ad essi e agli stranieri era  concesso fenerare al tasso del 15% annuo[46].

Da documenti relativi alla metà del XIV secolo si apprende che il debitore cristiano nominava un procuratore ebreo di fiducia del prestatore per attestare l’avvenuto prestito e rappresentarlo in caso di eventuale contenzioso[47]. Alcuni prestiti risultavano poi fatti ad ebrei e a cristiani insieme[48] e  negli Statuti del 1342 si stabiliva che, posto che i feneratori ebrei registravano le cifre mutuate in contratti de duplo, in cui la somma di fatto prestata era la metà di quella indicata, i debitori perugini erano legalmente autorizzati a restituire solo metà della somma indicata nei contratti di prestito. Il denaro avrebbe dovuto essere restituito entro sei anni, in sei rate di uguale importo[49]. Il monopolio sulla tassa dei banchi venne aggiudicato, nel 1354,  ad un cittadino cristiano, cui fu specificato che, mentre i feneratori cristiani potevano pagare la tassa annualmente, gli ebrei dovevano versarla ogni mese[50].

Il tasso di interesse ammesso nel 1385 era intanto salito al 30%[51] e nel 1397 il Consiglio dei Priori deliberò di limitare gli eventuali abusi nell’attività feneratizia, stabilendo che i pegni non potessero essere esportati fuori dalla città o dal contado e non potessero essere venduti senza l’autorizzazione dei Priori e Camerlenghi delle Arti, pena l’arresto del contravventore e il sequestro  dei pegni esportati[52].

Nel 1457  il tasso di interesse massimo consentito fu abbassato al 24% e fu confermato il divieto di esportare i pegni[53].  L’interesse venne portato poi al 12%, nel 1566, in seguito alla Bolla di Pio V, rimanendo tale anche nel 1573. Nel 1589 Sisto V consentì che il tasso feneratizio salisse al 18%[54].

Dopo la fondazione del Monte di Pietà, gli ebrei presero ad acquistare i pegni non riscattati del Monte[55] e, in merito a professioni differenti, sappiamo che nel 1342 Magister Benamato di  Lazzaro era farmacista (Benamato e il figlio acquistarono metà della farmacia, con tutta l’attrezzatura relativa, da un cristiano), mentre tale Sabato di Manuele, faceva il venditore di libri. 

Ebrei erano anche attivi nell’esercizio della medicina, come Magister Gaudino di Magister Bonaventura e Magister Musetto di Magister Salomone, autorizzati ad esercitare liberamente in città e nel distretto ed esentati dalle imposte straordinarie cui erano tenuti  i correligionari di P.[56].  Verso gli anni Settanta del XIV secolo è da segnalare la presenza del medico e poeta Meshullam Rofè ben Abraham[57].

Nel XV secolo esercitava la professione medica, ottenendo in virtù della sua abilità professionale la cittadinanza per sé e per i suoi figli e discendenti, Magister Musetto di Guglielmo, cui, tuttavia, fu dapprima vietato l’insegnamento allo studio di P., in seguito, invece, concessogli.

Nella seconda metà del XV secolo teneva una scuola di danza a P. Deodato di Mosè[58], mentre da un documento del 1486 risulta che alcuni israeliti fossero anche attivi nella manifattura dei dadi e delle carte da gioco[59].

Nel primo decennio del XV secolo, erano iscritti all’arte dei pittori perugini tre ebrei: Giacobbe di Vitale, Angelo di Elia e Davide di Sabatuccio[60].

Demografia

Da documenti del 1381 e del 1385, in cui sono elencati i feneratori ebrei, si può presumere che la presenza ebraica a P. fosse allora di circa 150 unità, se non di 200[61]

Da quanto si può inferire dall’elenco degli ebrei perugini, pubblicato in calce ai capitoli del 1457, vi erano all’epoca quindici nuclei familiari, cui si possono aggiungere, in via d’ipotesi, alcune altre famiglie non segnalate nel documento perché estranee al prestito: il totale approssimativo può, dunque, essere valutato in circa25 famiglie, per un totale di 130 persone al massimo[62].

Agli inizi del XVI secolo numerose famiglie lasciarono la località, senza che altre ne giungessero: pertanto, la popolazione ebraica perugina risultò essersi notevolmente ridotta[63].     

Da un documento del  1567 sappiamo che le famiglie ebraiche erano ormai solo sette[64], mentre nel 1592, se ne stanziarono qui 8[65].

Sinagoga

Immanuel Romano riferiva nelle Mehabberot che il suo generoso benefattore perugino (di cui non menzionava il nome) aveva adibito a sinagoga parte della sua dimora: tuttavia, non sembra che sia da identificarsi con quella che, nel XV secolo, era ubicata nella via Vecchia, nel quartiere di Porta S. Angelo, parrocchia S. Donato, lungo le mura antiche della città, in prossimità dell’odierna via Bartolo[66].

Nella sinagoga si seguiva il rito italiano e gli ebrei provenienti dalla Penisola Iberica, dalla Francia e dalla Germania, essendo poco consistenti di numero, si assimilarono alla Comunità italiana[67].

Cimitero

L’esistenza di un cimitero ebraico è attestata da due quietanze, una del 1391 e l’altra del 1394, rilasciate a Dattilo di Salomone da tale Andrea di Giorgio, presumibilmente addetto alla manutenzione del cimitero[68].  Quest’ultimo era ubicato nel sobborgo di Porta S. Pietro e confinava con i terreni di proprietà del monastero di S. Tommaso[69].

Dotti, rabbini, personaggi di rilievo.

Il feneratore Fosco di Beniamino, che negli anni Ottanta del XIII secolo era attivo nel prestito a P., è stato identificato con Yoab Fosco di Binyamin di Yoab, per il quale nel 1284 lo scriba Yehyel ha-sofer di Yequtyel di Binyamin ha-rofeh  scrisse il codice Ambrosiana 25, contenente i Salmi, Daniele ed Esdra con commento[70].

Presumibilmente in un periodo tra gli anni 1280-1290, visse a  P. il noto poeta Immanuel Romano, che nella ottava delle sue celebri Mehabberot narrava come il dotto Ebreo Aharon, di ritorno da un lungo soggiorno a Toledo, facesse sosta a P., affidandogli temporaneamente  gli svariati importanti manoscritti, in arabo e in ebraico, che portava con sé, per proseguire il suo viaggio alla volta di Roma. Tornato Aharon a P., e scoperto che Immanuel non si era limitato a custodire i manoscritti, ma, insieme ad alcuni amici, ne aveva anche copiata una parte, insoddisfatto dell’accaduto, lasciò la città umbra. Anche Immanuel abbandonò P., per tornarvi nel 1321, quando fu aiutato da un ignoto mecenate, probabilmente tra i feneratori più abbienti della città. In qusto periodo, Immanuel scrisse con tutta probabilità la sua celebre Mahberet ha-Tofet ve-ha-Eden (L’Inferno e il Paradiso), nella quale si manifesta in misura rilevante l’influsso di Dante[71].

Intorno alla metà  del XIV secolo studiavano giurisprudenza a P., sotto la guida di Bartolo da Sassoferrato, alcuni ebrei, sebbene non potessero conseguire la laurea, riservata ai soli studenti cristiani[72]

Tra gli scribi perugini, il più ragguardevole fu Yequtyel di Yehyel ha-rofeh  di Bethel di Yequtyel, attivo qui ed in altri centri umbri tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, cui si debbono svariati pregevoli manoscritti[73]. Oltre alla copiosa produzione di manoscritti in cui si distinse P., è da menzionare la presenza del medico e poeta Meshullam Rofeh di Abraham, di cui ci resta un inno, risalente al 1370 circa[74].

Agli inizi del XV secolo, teneva scuola nel quartiere di Porta S. Susanna Salomone di Manuello (detto Pisano), da identificarsi con lo scriba Shelomoh di Menahem che completò a Bologna il codice Napoli III  F. 13, contenente il compendio grammaticale Sefer ha-Mikhlol di David Qimchi.

Soggiornò per un periodo a P., nel XV secolo, Mosè di Isacco da Rieti, medico, filosofo, poeta e letterato, autore di svariati manoscritti e dell’opera Miqdash Meat (Il Piccolo Santuario), in cui tratta di religione, di filosofia e di temi ebraici. In epoca posteriore alla composizione di quest’opera è attestata la sua presenza a P. , dove, nel 1436, completava  il codice De Rossi 1376, contenente la versione ebraica del Robur Coelorum di Averroè. Due anni più tardi, Mosheh di Yehudah completava il codice Casanatense 165, contenente il trattato morale Sefer ha-Ma’alot. Dieci anni prima, Meshullam Nehemyah di Natan de Synagoga (o Min ha-Keneset ) compilava il codice De Rossi 475, contenente il Pentateuco, e, successivamente, il codice Oxford 237, contenente l’Ot Nefesh  di Levi di Gershom.

Svariati ebrei perugini o originari di P. figurano tra i committenti  o gli acquirenti di manoscritti, come il prezioso formulario di preghiere di rito italiano (codice British Museum 626) commissionato allo scriba Yitzhaq di Obadyah di David da Forlì da Yaaqov e David, figli del feneratore  Salomone da Perugia. Anche il codice Hebraicus monacensis 95, l’unico manoscritto contenente l’intero Talmud babilonese conservato sino ad oggi, fu proprietà del perugino Yaaqov di Natan, che lo vendette, nel 1480, a Padova.     

Abraham da Sarteano, che fu con il suo poema misogino Sonè Nashim l’iniziatore di una polemica sul valore delle donne che ebbe un certo seguito, è stato identificato con uno dei feneratori più in vista della Comunità perugina, nominato dai correligionari loro “sindaco” e “procuratore” nelle trattative con il Comune per i capitoli del 1457.

Fu a P. nel 1486 Elia del Medigo, medico e filosofo, che nella città umbra si incontrò con il suo celebre discepolo Pico della Mirandola[75].

Nel  XVI secolo soggiornò a P., laureandosi in medicina nel 1551, David de Pomis, originario di Spoleto,  in seguito trasferitosi a Venezia dove scrisse opere di medicina ed un lessico ebraico-latino-italiano, in cui espose le proprie conoscenze scientifiche sugli argomenti più svariati.

Anche Mosè Alatino si laureò in medicina a P., nel 1556, trasferendosi, poi, a Venezia, dove pubblicò pregevoli traduzioni latine di opere di carattere filosofico scientifico[76].

Nel 1553 lo scriba Aronne di Guglielmo (Binyamin) da Nola completò a P. per il medico e cabbalista Laudadio (Yehudah) de Blanis il trattato cabbalistico Sefer ha-Pelia (Codice Laurenziana, Firenze, Plut. 44-21) ed un altro scriba attivo a P., sebbene in epoca più tarda, fu Azryel di Yehudah Fishes che copiò il trattato cabbalistico Sefer ha-taghin di Elia di Levi Fishes di Roma (Codice Oxford 1441).

Nella seconda metà del secolo, risultava proprietario del manoscritto contenente le preghiere di rito italiano (Codice Sassoon 476) Yishmael di Mosè da Perugia, che lo lasciò in eredità ai figli Daniel e Mosheh. La cultura ebraica risultava allora molto sviluppata a P., nonostante la diminuzione dei membri della Comunità, tanto che Israel Ashkenazi, scrivendo dalla Terra Santa al feneratore Abraham da Perugia, notava che il livello degli studi ebraici superava ampiamente quello di Gerusalemme[77].

Bibliografia

Toaff, A., Documenti sulla storia degli ebrei a Perugia nei secoli XIII e XIV, in MichaelI, 1972, pp. 316-325.

Toaff, A., Gli ebrei di Perugia, Perugia 1975

Toaff, A., The Jews in Umbria, 3 voll. Leiden, New York, Köln 1993-1994.    

Vogelstein, H. – Rieger, P.,  Geschichte der Juden in Rom, Berlin 1896.

Zunz, L., Zeitschrift  für Hebräische Bibliographie,  Berlino 1896.


[1] Questa traslitterazione  si trova in Immanuel Romano, Yarden, D., (a cura di) Mehabberoth  Immanuel, Gerusalemme 1957, p. 550.

[2] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 3; Idem, Gli ebrei a Perugia, p. 13. La traccia della presenza, forse temporanea, di un ebreo a P. si trova in documenti del 1245, in  cui si tratta del grave contenzioso tra Pero di Domenico de Romeio e  l’ebreo francese Abramo di Braccialere (de La Bachelerie, città vicina a Limoges) che aveva una relazione con la moglie di Pero, cui quest’ultimo reagiva pugnalando Abramo. Cfr. ivi, doc. 1, 2.  

[3] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 5, 6, 7, 8; Idem, Gli ebrei a Perugia, pp. 13-14.

[4] Toaff,A., The Jews in Umbria, doc. 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16; Idem, Gli ebrei a Perugia, pp. 15-16.

[5] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 17, 18, 19, 20; 21, 22, 23, 24; Idem, Gli ebrei a Perugia, pp. 16-18. 

[6] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 25. I rappresentanti degli ebrei di Perugia menzionati erano: Bonaventura di Beniamino, Mosè di Beniamino, Dattilo di Beniamino, Fosco di Beniamino, Manuele di Bonaventura e Manuele di Abramo.

[7] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 41; Idem, Gli ebrei a Perugia, p. 19.

[8] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 84. Gli ebrei menzionati nel documento sono: Aleuccio di Abramo, Abramo di Beniamino, Salomone di Bonaventura, Beniamino di Magister Mosè, Sabato di Abramo  e i loro soci residenti a P.

[9] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 86, 88, 89, 90, 94, 95; Idem, Gli ebrei a Perugia, p. 20.

[10]Toaff, A., The Jews in Umbria,  doc. 96, 99.

[11] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, pp. 22-23; Bartoli a Saxoferrato, Omnia quae extant opera, Leges et glossae, Venetiis 1603 – Septima Editio Juntarum- voll. 9, tomi XI, Commentaria alla rubrica De Judaeis (Comm. in D, 12.5.4.4 , tomo II, c. 43 r.), citato ivi, p. 47, n. 65. Dall’opera di Bartolo da Sassoferrato si apprende, inoltre, che un’eredità lasciata in favore degli “ebrei di Perugia” venne convalidata dal Comune, in quanto considerata a favore dei singoli e non della Comunità nel suo complesso. In questo secondo caso, infatti, non avrebbe potuto essere convalidata, stante la norma che vietava ogni lascito ad un’associazione di ebrei. Bartolo convalidava anch’egli il lascito, considerandolo come fatto ai singoli. Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 23;  p. 47, nota 66.

[12] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 120.

[13] Ivi, doc. 147, 148.

[14] Ivi, doc. 166, in cui, oltre ai nominativi dei feneratori, ne vengono elencati i quartieri e le parrocchie  di residenza.

[15] Per i nomi dei feneratori e le cifre mutuate, cfr. ivi,doc. 195.

[16] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 25.

[17] Toaff, A., The Jews in Umbria,  doc. 306.

[18] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, pp. 27-28.

[19] Ivi, doc.  341; Idem, Gli ebrei a Perugia, p. 27.

[20] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 27.

[21] Ivi, doc. 392; nel documento è riportato anche  l’elenco dei feneratori perugini e tra i nomi nuovi rispetto al capitolato dl 1381, abbiamo:Sabatuccio di Vitale di Magister  Musetto, Magister  Bonaventura di Dattilo, Lazzaruccio di Gaio, Bonaventura di Magister Beniamino, Daniele di Magister Abramo, Abramo di Musetto e Genotano (Yehonatan) di Angeletto di Magister Abramo.  Quest’ultimo compariva già nella lista dei quattro feneratori che avevano finanziato i festeggiamenti per la riconquista di Montone e della Fratta nel marzo del 1385. Cfr., Idem, Gli ebrei a Perugia,  p. 29.

[22] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 31.

[23] Ivi,pp. 59-60.

[24] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 712. Sulla decorazione del ms. Heb. 4  1193 (Jerusalem, Jewish National and University Library) contenente  il Mishneh Torah di Maimonide attribuita a  Matteo di ser Cambio, cfr. Idem, Gli ebrei a Perugia, pp. 88-89.

[25] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, pp. 60-63.

[26] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 1016.

[27] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, pp. 64-67.

[28] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 1268.

[29] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, pp. 69-72.

[30] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 1376; Idem, Gli ebrei a Perugia, pp. 73-74.

[31] Toaff,A., Gli ebrei a Perugia, pp. 74-76.

[32] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 1446.

[33] Ivi, doc. 1626; Idem, Gli ebrei a Perugia, pp. 78-79.

[34] L’espulsione temporanea degli ebrei dalla città, nel 1485, in seguito alla predicazione di Bernardino, sostenuta da alcuni studiosi,  è smentita dai documenti che provano la continuità della presenza ebraica a P. Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 80.

[35] Toaff, A., The Jews in  Umbria, doc. 1906; Idem, Gli ebrei a Perugia, p. 80.

[36] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 82.

[37] Ivi, p. 130. Per la eco che ebbero  tali fatti nella letteratura ritualistica ebraica dell’epoca, cfr. ibidem.

[38] Per ulteriori particolari sulla vicenda, vedi ivi, pp, 134-135.

[39] Per i dettagli della controversia, ivi,  pp. 135-136.

[40] Ivi, pp. 136-139.

[41] Ivi, pp. 139-141.

[42] Ivi, pp. 141-145.

[43] Ivi, pp. 144-145.

[44] Toaff, A., Documenti sulla storia degli ebrei a Perugia nei secoli XIII e XIV, p. 325.

[45] Per queste e per ulteriori informazioni, cfr. Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, pp. 97 e segg.

[46] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 68.

[47] Ivi, doc. 159, 266

[48] Ivi,  doc. 181, 182, 183, 185. 

[49] Ivi,  doc. 147. Già da un documento del 1284 risulta che  negli atti pubblici stipulati per la concessione di prestiti appariva dichiarata a garanzia una cifra doppia rispetto a quella effettivamente restituita all’atto della quietanza. Toaff,  A., Documenti sulla storia degli ebrei a Perugia nei secoli XIII e XIV, p. 322, Nota.

[50] Toaff, A., The Jews in Umbria doc. 197.

[51] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 392.

[52] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia,  p. 31.

[53] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 1268.

[54] Ivi, p. 139; p. 144.

[55] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 73.

[56] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 157,171, 180, 194, 227.

[57] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 33; p. 38.

[58] Ivi,p. 82; p. 89.

[59] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 1906.

[60] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 151.

[61] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 306, 392; cfr. Idem, Gli ebrei a Perugia, p. 38.

[62] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 97.

[63] Ivi, p. 129.

[64] Ivi, p. 140.

[65] Ivi, p. 145.

[66] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 95.

[67] Ivi, pp. 96-97.

[68] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 521, 570.

[69] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 39; p. 56, n. 142.

[70] Toaff, A., Gli ebrei a Perugia, p. 18. Su Yehyel di Yequtyel , cfr. Zunz, L., Zeitschrift  für Hebräische Bibliographie,  XVIII, p. 106, n. 559; Vogelstein, H. – Rieger, P.,  Geschichte der Juden in Rom, I, pp. 277-278; 332-333.

[71] Toaff,A., Gli ebrei a Perugia, pp. 20-21; p. 34.

[72] Ivi, p. 23; p. 32;  p. 48, nota 68.

[73] Per i particolari relativi alla sua opera, cfr. ivi, pp. 35-36.

[74] Ivi, p. 38.

[75] Ivi, pp. 82-89. Per i manoscritti miniati completati a P. tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo,  cfr. ivi, p. 88.  

[76] Ivi, pp. 146-148. Si laureavano a P., intorno alla metà del XVI secolo, anche Salomone di Benigno Turani di Orvieto e Angelo di Laudadio de Blanis. Per i particolari, cfr. ivi, p. 149. 

[77] Per queste informazioni e per ulteriori particolari, cfr. ivi, pp. 149-150; pp. 131-132.

Geolocation