Salerno

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Salerno (סלירנו , סלירנה , שלירנא,סלרנם )

Capoluogo dell'omonima provincia in Campania. La città si allunga sulla costa del Tirreno, nella parte più interna del golfo al quale dà il nome, allo sbocco della valle dell'Irno ed è sovrastata dalle propaggini dei ponti Picentini. Fu colonia romana dalla fine del II secolo a.C. e nel IV secolo d.C. era il centro più importante del golfo. Contesa dai bizantini e dai goti, nel 646 fu conquistata dai longobardi e incorporata nel Ducato di Benevento. Nell'839 divenne la capitale di un principato indipendente e assurse a grande splendore sotto Guaimario V (1027-1052). Conservò la propria centralità con i normanni, che la conquistarono nel 1076, ma nel XII secolo si ebbe una lenta decadenza, accentuata dalla crescita di Napoli. Nel 1419 Giovanna II d'Angiò la concesse a Giordano Colonna e successivamente appartenne agli Orsini ed ai Sanseverino. Sede arcivescovile, nel 1443 era tassata per 699 fuochi e nel 1532 per 1440.

 

Una presenza ebraica sembra attestata a S. nel secolo IV da una lucerna decorata con una raffigurazione stilizzata del candelabro, di un tipo noto anche a Roma e in Sardegna[1], che fu raccolta nell'area di una necropoli venuta alla luce in occasione della costruzione del Palazzo di Giustizia (1932-33)[2]. Non appartiene invece a S. un'iscrizione del V secolo, in latino ed ebraico, attribuita da alcuni autori a questa città, che appartiene invece a Napoli[3].

La documentazione relativa ad un insediamento stabile e cospicuo inizia però nel X secolo[4]. Il quartiere ebraico, o giudecca,  sorgeva tra il muro della città e l'antemurale (inter muro et muricino), vicino alla riva del mare. Molti suoli su cui gli ebrei costruivano le proprie abitazioni appartenevano alla sovrastante chiesa di santa Maria de Domno, così come parecchie case che essi prendevano in fitto dalla stessa chiesa, che sarà denominata anche sancta Maria de la Judeca[5].  Con il tempo le case si addossarono al muro della città e si fusero con esso: così nel 1271 l'ebreo Salomon de Tincta chiese il permesso di aprire delle finestre nel muro meridionale della città per dare luce alla propria casa e la facoltà gli fu accordata, purché le aperture non risultassero dannose per la città stessa e pregiudizievoli per i vicini[6].

L'insediamento della giudecca al di fuori delle vecchie mura longobarde e i numerosi suoli vuoti che per parecchio tempo si trovano al suo interno fanno pensare, se non ad una sua origine, almeno ad un notevole sviluppo della comunità tra la fine del X secolo e gli inizi dell'XI, quando, in una fase di crescita della città, essa trovò tra quegli spazi periferici e poco popolati il contesto più conveniente,  sia per svolgere con maggiore comodità le proprie industrie e traffici, sia per custodire meglio la propria identità. L'ubicazione periferica della giudecca non significa quindi repulsione reciproca delle due comunità, quella cristiana e quella ebraica, come d'altronde dimostrano sia i buoni rapporti tra gli ebrei e il monastero benedettino di Cava, che aveva giurisdizione sulla chiesa di S. Maria, sia la presenza di abitazioni cristiane nello stesso quartiere. Un ebreo, Sciamar figlio di Abramo, ad esempio era nel 1140 esattore delle decime rivenienti al monastero di Cava dai mercati della città, ed in questa sua attività egli era dai monaci qualificato diligente e grandemente benemerito per il monastero[7]. Nella Giudecca, inoltre, sarebbe sorta più tardi una chiesa dedicata a santa Lucia, che per la sua ubicazione sarebbe stata detta anch'essa de Judaica[8]. Gli israeliti avevano buoni rapporti pure con il vicino monastero femminile di san Giorgio (talvolta denominato  a la Iudeca), proprietario anch'esso di suoli e di case nel perimetro della Giudecca[9]. Una pergamena del monastero, datata 1255, attesta poi la dimora di ebrei anche nella contrada dell' Ortomagno, località che in un documento del 1176 è a sua volta individuata inter murum et muricinum in Iudayca[10].

Le industrie degli ebrei salernitani erano abbastanza redditizie, se suscitarono l'interesse dell'arcivescovo Alfano II, il quale chiese che gli fosse donata la tassa sulle loro attività. La richiesta fu esaudita dal duca Ruggero nel 1090, in suffragio dell'anima della madre Sikelgaita, morta di recente, e la concessione fu confermata nel 1121 dal duca Guglielmo e nel 1221 da Federico II[11]. L'arte a cui in questo periodo gli ebrei più si dedicavano era la tintura e la manganatura delle stoffe, ma tra le loro attività doveva esserci anche il commercio via mare. Fra i tributi, infatti, che essi dovevano pagare all'arcivescovo di S. secondo la donazione ducale del 1090 c'erano anche il  portaticum ed il  portulaticum, termine quest'ultimo che indicava il dazio da pagare per trasporti marittimi di merci. Questa attività ovviamente era favorita dai collegamenti con la rete di comunità insediate dappertutto nei paesi del Mediterraneo, soprattutto in Egitto e in Tunisia. Basti pensare al fatto che a S. sarebbe dovuto arrivare da Bari con una grossa somma, da trasferire probabilmente in Tunisia, un ebreo Rumi, cioè di lingua latina o greca, ma durante il viaggio egli fu derubato del denaro. In suo favore intervenne il suo congiunto Iacob b. Amram,  nagid degli ebrei di Tunisia (prima metà dell'XI secolo), il quale organizzò per lui una grossa colletta fra i correligionari, rimandando quella che ogni anno veniva indetta a beneficio delle accademie di Gerusalemme[12].

Nel 1153 un ebreo di S. di cognome Cohen era, invece, a Mazara, da dove s'imbarcò  per Messina insieme con altri correligionari: spaventato però da una tempesta che li aveva sorpresi a Patti, preferì sbarcare a Milazzo e continuare il viaggio via terra.[13]

Una descrizione sintetica, ma assai efficace, della comunità salernitana, è tramandata dall'ebreo navarrino Beniamino da Tudela nel suo  Sefer Massa‘ot. Riprendendo il viaggio da Napoli (siamo tra il 1160 e il 1167), egli scrive: Di qui si giunge, per mare,  alla città di Salerno, dove i figli di Edom [ossia i cristiani] hanno una scuola di medicina. Vi dimorano  circa seicento ebrei: tra i dotti vi sono R. Giuda, figlio di R. Isacco figlio di R. Melkisedeq, il grande rabbi, originario di Siponto, R. Salomone ha-Cohen, R. Elia il Greco, R. Abramo da Narbona e R. Hamon. La città è cinta di mura dalla parte della terraferma, mentre l'altro lato sorge sulla riva del mare; assai possente è il castello posto sulla sommità della collina[14].

Una tradizione nata forse nel XIII secolo pone tra i fondatori della Scuola medica locale un Elino, che avrebbe insegnato in ebraico, mentre altri tre colleghi avrebbero insegnato rispettivamente in greco, arabo e latino[15]. Ma questa tradizione non ha fondamento, se non nella presenza presso  i Maestri della Scuola di testi scritti  in queste lingue o tradotti da esse. Tra gli ebrei salernitani non mancavano tuttavia i medici e un Iuda medicus  è attestato già nel 1004[16].

Tra la fine del periodo svevo e gli inizi di quello angioino, S. ospitò un astro della cultura ebraica, Mosè ben Shelomoh, onorato dai suoi contemporanei con l'appellativo di «Terzo Mosè» dopo il Mosè biblico e Mosè Maimonide. Mosè ben Shelomoh, che fu attivo qui come medico e traduttore tra il 1250 e il 1279, anno della sua morte, fu autore di un  Commento alla Guida dei perplessi di Maimonide, di un Glossario ebraico-italiano dei vocaboli filosofico-tecnici presenti nella Guida e di due trattatelli intitolati Argomento della fede e  Obiezioni, nei quali controbatte il dogma cristiano della Trinità e dell'Incarnazione sulla base dei presupposti logico-metafisici presenti nella Guida di Maimonide[17]. Una lapide sepolcrale in ebraico dedicata a un Mosè b. Shelomoh deceduto nel 1279, rinvenuta nel 1963 nei pressi della chiesa di santa Lucia, è concordemente riferita al nostro Mosè[18].

Due manoscritti dei secolo XIII documentano ulteriormente la temperie culturale ebraica salernitana di quel periodo. Il primo, a opera di Isaia b. Mosè, contiene i libri IV-V-VI della  Mishneh Torah  di Mosè Maimonide. Fu copiato nel 1266 ed è il più antico manoscritto ebraico datato con indicazione della località  che sia stato copiato in Italia[19]. Il secondo, vergato dalla mano di Abraham b. Uziel da S., fu completato nel 1289 per il suo maestro e collega  Menachem b. Menachem: esso contiene il commento di Rashi al Pentateuco e le Meghillot[20].

Questa data ci immette ormai nel periodo più buio della storia dell'ebraismo nell'Italia meridionale. Gli Angioini infatti, subentrati agli Svevi nel dominio del Mezzogiorno (1266), si premurarono di portare alla fede cattolica i loro sudditi ebrei. Servendosi di pressioni, ma promettendo anche premi, primo fra tutti l'esenzione dalle tasse, essi riuscirono nel loro intento. La compagine ebraica si sgretolò, dando origine al fenomeno dei neofiti, detti anche cristiani novelli. A S. i passaggi al cattolicesimo furono 130 e i nomi dei convertiti sono noti da un documento del 28 maggio 1294. Tra di essi figurano anche ebrei venuti da altre località, come San Magno, San Severino, Eboli, Avellino, Melfi e l'Abruzzo[21].  La maggior parte delle conversioni si ebbe nel 1292 e già nel gennaio 1293 la stessa via della Giudecca  fu ribattezzata con il nome di Ruga Nova[22].

Ma non furono solo le lusinghe a piegare i giudei. Gli inquisitori usarono anche l'arma dell'umiliazione - come l'obbligo per un rabbino di offrire il suo capo come leggio per il canto del Vangelo dinanzi alla porta della cattedrale la vigilia della festa di san Matteo [23]-  e quella, temibilissima, della denuncia per crimini contro la fede[24]. Tali, d'altronde, apparvero agli occhi di fra Bartolomeo da Aquila, inquisitore generale nel Regno, i due fatti che egli scoprì, nel 1292, essere avvenuti nella sinagoga maggiore di Salerno: la circoncisione di un cristiano di nome Mosè e il battesimo, con l'acqua del pozzo della stessa sinagoga, di un altro cristiano di nome Azzaria. Per punizione, egli ordinò che la sinagoga fosse distrutta dalle fondamenta, riservandosi comunque di disporre altrimenti dell'edificio e dei suoi beni se ciò fosse stato utile alla fede. Ma all'indomani della sentenza - come per prodigio! - quasi tutti i membri della comunità chiesero che la sinagoga non fosse distrutta, ma venduta, ed  il ricavato venisse dato loro in beneficenza, dal momento che per la maggior parte erano schiacciati dalla miseria. La proposta fu accolta, e la stessa Regia Curia destinò la parte di propria spettanza  ai convertiti e ai giudei, per confermare i primi e per invogliare i secondi alla conversione con doni di vestiti ed elemosine[25].  Alcuni studiosi hanno visto nei due episodi la testimonianza di un acceso proselitismo tra i cristiani da parte dei giudei di S., mentre altri hanno pensato ad una montatura dell'Inquisizione, per giustificare  un intervento fortemente intimidatorio e rovinoso. I fatti potrebbero però essere realmente accaduti, ma non come esiti di un proselitismo giudaico tra i cristiani bensì tra i neofiti, cioè tra gli ex-giudei ed i loro figli non circoncisi. Inoltre, quello che a fra Bartolomeo era sembrato un battesimo, era  invece una  tevilah, ossia il lavacro purificatorio a cui viene ritualmente sottoposto non solo chi si converte al Giudaismo, ma anche chi vi ritorna.

Quanto alla situazione di miseria conclamata dalla maggior parte degli israeliti nel 1292, essa trova riscontro in un documento del 1280, dal quale risulta che gli stessi si erano lamentati presso il Re per la maggiore tassazione alla quale erano stati sottoposti dall'Università rispetto alla percentuale pattuita in precedenza, pur essendo nel frattempo «diminuiti di numero e divenuti più poveri»[26].  La quota pattuita era stata, infatti, del 4 e 1/2 %, ma già nel 1275 - anno in cui la città risultava diminuita nel numero dei fuochi, e quindi anche della capacità economica, a motivo della peste - essa era divenuta insostenibile[27]: le autorità locali l'avevano arbitrariamente aumentata, costringendo gli ebrei a ricorrere al Re per denunciare che a causa dell'impossibilità di far fronte al peso fiscale molti membri della comunità si erano trasferiti altrove, riversando i propri obblighi fiscali, addirittura maggiorati, sui rimasti, che proprio non ce la facevano e minacciavano perciò di abbandonare a loro volta la città. Il sovrano, udita la rimostranza, ordinò al Giustiziere della provincia di fare un'inchiesta su tutta la controversia e di riferirne alla Gran Corte. Altri motivi di ricorso all'autorità centrale erano stati, nel 1278, causati dagli abusi dei regi corrieri e di altri ufficiali pubblici, che al loro arrivo in città entravano con violenza nelle case degli ebrei e pretendevano denaro per le proprie spese, nonché letti, panni e recipienti in metallo per il periodo del soggiorno[28].

Gli ebrei divenuti cristiani continuarono le loro attività di prima, tra le quali sembra che in quel tempo fossero ancora prevalenti la tintura e il commercio dei panni. Nel 1306 gli appaltatori della gabella fundici et dohane dal fiume Sele a Policastro denunciarono che alcuni neofiti di S. si erano accordati per non tingere più  sete e lane nella tintoria cittadina, ma per farlo segretamente nelle loro case, in pregiudizio degli appaltatori. Inoltre, essi compravano non poca quantità di seta in tutto il Principato, su cui vigeva l'imposta della tertiaria, e la nascondevano in casa, per rivenderla liberamente alla fiera di san Matteo. In risposta alla denuncia, re Roberto ordinò che si ricorresse persino all'appostamento con uomini armati per impedire le frodi dei neofiti[29], sebbene a 23 di questi ultimi, che andavano in giro per il Regno a negoziare, il sovrano concesse nel 1316 il permesso di portare armi proibite[30].

Nonostante la difficoltà di essere giudei, i rientri dei neofiti nella fede dei padri si intensificarono  appena qualche decennio dopo la grande conversione del 1294. Gli Angioini si mostrarono man mano tolleranti sia con coloro che tornavano alla fede avita sia con coloro che non l'avevano mai abbandonata. La conquista del regno di Napoli nel 1442 da parte di Alfonso d'Aragona  confermò la ripresa della vita ebraica e le conferì un forte dinamismo per il favore che i nuovi signori usarono verso i seguaci di Mosè. La prima notizia, tuttavia, sugli ebrei nel salernitano in epoca aragonese riguarda un contributo imposto nel 1445 a tutti i sudditi per il sostentamento dei soldati che avevano conquistato il Regno e provvedevano alla sua sicurezza e tranquillità. Nel Principato, esso era di un ducato a fuoco per i cristiani e di sei ducati a fuoco per gli ebrei: il commissario avrebbe spartito tra questi ultimi, sulla base delle facoltà e dei redditi di ciascuno, la somma totale dovuta dalla giudecca provinciale[31]. Dal punto di vista produttivo gli ebrei compaiono in quest'epoca come prestatori di denaro e come mercanti di stoffe, ferro, bestiame, vettovaglie e libri.

Nel 1486 dimorò a S. R. Ovadiah da Bertinoro, una delle più eminenti personalità ebraiche del tempo. Il rabbi, nato a Bertinoro nel 1450, morì in terra d'Israele nel 1520. Nel viaggio verso di essa, egli giunse a Napoli, ma non trovò una nave di suo gradimento: «Allora -egli scrive- andai a Salerno, dove insegnai gratuitamente per oltre quattro mesi, e quindi ritornai a Napoli. Il giorno del digiuno del quarto mese del 247 (= 8 luglio 1487) partii da Napoli con la nave grande e comoda di Mossen Blanchi, insieme con altri nove giudei. Dopo  cinque giorni, per difetto di vento, fummo a Palermo»[32].

L'ambiente cominciò a guastarsi con i disordini che accompagnarono  la rivolta dei baroni (1486) e divenne assai greve con l'arrivo massiccio di profughi provenienti dalla Sicilia e dalla Spagna, da dove li aveva cacciati nel 1492 l'intolleranza di Ferdinando il Cattolico. Il Vicario episcopale di S. emanò contro di loro disposizioni assai se­vere, che la Camera della Sommaria si affrettò a far revocare, avvertendo che sua Maestà era restata multo maravigliata per l'azione dell'ecclesiastico. Ciò non impedì che molti, specialmente nelle controversie giudiziarie, si lasciassero andare a vessazioni ed abusi, senza che nessuno intervenisse: persino lo stratigoto giunse a togliere indebitamente del denaro ad un giudeo di nome Mele rifiutandosi di restituirlo. Ancora una volta la Sommaria, sollecitata, intervenne, conferendo ad Antonio Baldascio il mandato di giudicare tutte le cause riguardanti i giudei e di provvedere perché anche lo stratigoto restituisse il denaro estorto[33].

All'annunzio che Carlo VIII di Francia si accingeva a conquistare il Regno, i fermenti antigiudaici crebbero. Temendo violenze e saccheggi, alcuni chiesero il permesso di trasferire la propria attività, talvolta anche la dimora, in luoghi più sicuri. Un Gabriele de Salomone, che aveva un banco a Maiori, ad esempio, ottenne allora di ritirarsi a S., sua città di origine. Tali precauzioni furono tuttavia inutili: nel 1495, con l'arrivo dei francesi, gli ebrei furono dappertutto assaliti e depredati, rimettendoci in alcuni casi anche la vita. Per uscirne indenne, qualcuno si fece cristiano, come quel Leone de Saul, che prese il nome di Felice, e che nel 1498 riuscì a ottenere il recupero dei propri crediti a S. e provincia per poter tornare al lavoro di mercante[34]. Dopo le spoliazioni e le violenze che avevano accompagnato l'occupazione francese non fu facile riprendersi e la lotta per la sopravvivenza condusse a comportamenti spietati, anche tra gli stessi giudei, come quello manifestatosi nella controversia tra Manuele de S. e il suo debitore Ventura de Allegretto[35].

Acquietatosi il terremoto sociale e politico del 1495, la vita giudaica riprese, ma non con la consistenza e l'incidenza di prima. Ma eravamo ormai al tramonto della sovranità aragonese: nel 1501 re Federico fu deposto e nel 1503 la corona fu ghermita da Ferdinando il Cattolico di Spagna. Nel 1520 ci fu a S. una convenzione tra le autorità locali (l'Università) e don Samuel Abravanel per l'apertura di un banco di prestito. Il banco doveva funzionare per due anni, trascorsi i quali entrambe le parti sarebbero state libere di rinnovare l'accordo o di interromperlo: nel 1525 venne così registrata una nuova intesa, che faceva riferimento alla convenzione sottoscritta precedentemente[36], ma nel 1541 Carlo V mise la parola fine alla presenza ebraica nel Mezzogiorno.

 

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[1]Cfr. Goodenough, E.R., Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, vol. 2, p. 104; vol. 3, figg. 942, 946;  Perani, M., Gli ebrei in Sardegna fino al sec. VI: testimonianze storiche e archeologiche, p. 325, fig. 11.

[2]Per una scheda su questa necropoli e la riproduzione fotografica della lucerna, si veda la guida  SalkeSaleSSalerno romana, a cura di M. Romito, Salerno 1989.

[3]Cfr. Ferrua, A., Addenda et corrigenda al Corpus Inscriptionum Iudaicarum, pp. 43-44.

[4]Codex Diplomaticus Cavensis, Napoli-Milano-Pisa, 1873-1893, II, p. 442, doc.  (a. 991).

[5]Cfr. Carucci, G., Gli ebrei in Salerno nei secoli XI e XII, pp. 74-76.

[6]Registri della Cancelleria Angioina, VI, a cura di R. Filangieri, p. 261, n. 1410.

[7] Cerone, F., Sei documenti inediti sugli ebrei di Salerno dal 1125 al 1269, p. 60, doc. I.

[8]Cfr. Crisci, G. - Campagna,  A., Salerno sacra. Ricerche storiche, p. 175.

[9] Cfr. Galante, M., Nuove pergamene del Monastero Femminile di S. Giorgio di Salerno, I, (993-1256), pp. 31-34, doc. 14; pp. 50-52, doc. 21; pp. 77-79 , doc. 32; pp. 80-83, doc. 33; pp. 85-90, docc. 35-36.

[10]Galante, M., Nuove pergamene,  pp. 95-97, doc. 39;  Il Codice Perris. Cartulario Amalfitano. Sec. X-XV, a cura di J. Mazzoleni e R. Orefice, 1/I,  p. 305, doc. 161.

[11] Carucci, G., Gli ebrei in Salerno  cit., pp. 78-79.

[12] Goitein, S.D.,  A Mediterranean Society. The Jewish communities of the Arab world as portrayed in the documents of the Cairo Geniza, II, p. 25.

[13] Simonsohn, S., The Jews in Sicily, I, pp.405-406, doc. 180. Il cognome Cohen compare sovente nei documenti di S. nel suo equivalente latino Sacerdos.

[14] Adler, M.N., The Itinerary of Benjamin of Tudela, p. 10.

[15]Cfr. De Renzi, S., Storia della medicina italiana, Napoli 1845, II, p. 78.

[16]Marongiu, A., Gli ebrei di Salerno nei documenti dei secoli X-XIII,  p. 250.

[17]Cfr. Sermoneta, G., Un glossario filosofico ebraico-italiano del XIII secolo, Roma 1969.

[18]Pavoncello, N., Epigrafe ebraica nel Museo del Duomo di Salerno, pp. 198-203.

[19]Richler, B. (a cura di), Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina in Parma. Catalogus, p. 168, n. 762.

[20]Die Handschriften-Verzeichnisse der Königlichen Bibliothek zu Berlin. 2, Verzeichniss der hebräischen Handschriften, a cura di M. Steinschneider, Berlin 1878, n. 65.

[21]Marongiu, A., Gli ebrei di Salerno  cit., pp. 265-266, doc. III.

[22]Cfr. Galante, M., Tre  nuovi documenti sui cristiani novelli a Salerno nei secoli XIII-XIV , pp. 3-14.

[23]Carucci, G., Gli ebrei in  Salerno, p. 79. Benincasa, M., Amalfitani ed Ebrei, in  Guida alla storia di Salerno e della sua provincia, p. 189.

[24]Cf. il caso dell'ebrea Letula: Registri della Cancelleria Angioina, XXXVIII, a cura di Palmieri, S., pp. 25-26, n. 90 (25 marzo  1292).

[25] Registri della Cancelleria Angioina, XL, a cura di  Ascione, I., Napoli 1993, pp. 72-73, doc. 19.

[26]Codice Diplomatico Salernitano del secolo XIII, I , a cura di Carucci, G., pp. 527-528, doc. 378; Registri della Cancelleria Angioina, vol. XXII, a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1969, p. 119, n. 77.

[27]Codice Diplomatico Salernitano del secolo XIII cit.,  I, p. 451, doc. 313.

[28]Codice Diplomatico Salernitano del secolo XIII,  I, p. 487, n. 350.

[29] Caggese, R., Roberto d'Angiò e i suoi tempi, I, p. 93.

[30] Ferorelli, N.,  Gli ebrei nell'Italia meridionale p. 56.

[31]Fonti Aragonesi, VII, a cura di B. Mazzoleni, Napoli 1970, pp. 3-5.

[32]Cfr.  The Letters of Obadiah da Bertinoro, in Masterpieces of Hebrew Literature, a cura di Leviant, C., New York 1969, p. 479.

[33]ASNa, Sommaria, Partium 36, 113r (28 ottobre 1492), 148v (21 gennaio 1493).

[34]ASNa, Sommaria, Partium 38, 119v (3 dicembre 1494); 42, 265 (4 gennaio 1498).

[35]ASNa, Sommaria, Partium 41, 240 (17 settembre 1495).

[36]Del Grosso, M.A., Un banco ebraico a Salerno al tempo di Carlo V, pp. 87-93.

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