Napoli

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Napoli

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Capoluogo di regione. Insistendo su di un’area abitata già in epoca neolitica, un primo centro, Partenope, fu fondato dai coloni greci di Cuma  intorno al VII secolo a.C., per poi essere distrutto dagli Etruschi nel successivo. I Cumani riedificarono in seguito la città, chiamandola Neapolis, ed essa nel 30 a.C. divenne municipio romano. Caduto l’Impero d’Occidente, N. conobbe la dominazione di Odoacre, dei Goti e dei Bizantini, i quali ne fecero un autonomo Ducato. Dal XII secolo fu sotto i Normanni e poi gli Svevi, che con Federico II vi fondarono una rinomata Università. Passata agli Angioini nel 1282, e divenuta capitale dell’omonimo Regno, N. fu poi coinvolta nelle contese che li opposero agli Aragonesi (guerra del Vespro) ed in seguito nei problemi dinastici della stessa Casa d’Aragona, finché nel 1442 fu assegnata ad Alfonso V. L’importanza di  N. iniziò, però, a declinare quando divenne una semplice provincia del Regno spagnolo (1503) e solo con l’avvento dei Borbone (prima metà del Settecento) la situazione cambiò radicalmente. Alla fine del XVIII la città conobbe, poi, la parentesi della Repubblica Partenopea, ma ben presto ritornò sotto l’egida borbonica, rimanendovi sino all’annessione al Regno d’Italia nel 1860.

La presenza ebraica a N., sebbene con tutta probabilità più antica, è attestata con certezza a partire dal V-VI secolo da fonti epigrafiche[1]: Gregorio Magno ci informa che a tale gruppo di israeliti, come del resto ai loro antenati, era permesso di celebrare i propri culti da prima del 602[2].

Durante il periodo della guerra gotica, il nucleo ebraico napoletano si distinse per l’atteggiamento favorevole ai Goti[3]. Secondo quanto narrato da Procopio, gli israeliti non stentarono a contrapporsi alla presa di N. da parte di Belisario, combattendo in prima linea[4], e sappiamo che, se inizialmente dovettero fuggire a seguito della vittoria delle truppe imperiali, mezzo secolo dopo essi erano nuovamente presenti in buon numero[5]: prima dell’anno Mille il nucleo ebraico napoletano si distingueva già per floridezza.

Con l’avvento dei Normanni e degli Svevi e l’assurgere, poi, di N. a capitale del Regno le fortune degli ebrei si moltiplicarono: nel racconto di viaggio di Beniamino da Tudela[6] (1165) spiccano per questo periodo i nomi di Ezechia, Salom, Elia Sacerdote ed Isaac di Monte Hor, mentre la documentazione ci segnala, nel 1153, la figura di Acchisamac ebreu. Questi, indicato addirittura come de nobilioribus hominibus de regione funtanule (la zona portuale), attraverso una permuta aveva ottenuto dalla badessa di S. Marcellino, in un’area posta di fronte alla chiesa di S. Renato ove già dimoravano altri suoi consortes,una griptam antiquam e una griptullam, nella quale avrebbe potuto aprire una sinagoga o una scuola. Egli non mancava, inoltre, di avere anche altri possedimenti fondiari nel contado[7].

A partire dalla metà del XIII secolo si susseguono, in più, le attestazioni di Mele Sacerdote (1246), figlio di Coxu e Anna, di Antonio (1247), figlio del medico marsigliese Jacob ben Abba Mari, nonché di Abramo Sacerdote e di Gaudio e Scolo di Mele Sacerdote (1282).

Il Duecento fu, più in generale, testimone dell’accrescersi del nucleo ebraico locale, nonché della presenza di ricchi banchieri quali Abramo de Lucifero, Monda Pisano, Abramo de Buonofato, Abramo Provenzale e Trotto de Lia. Il favore della corte arrise allora anche ai regi familiari Farrasio (traduttore dal latino di opere mediche) e Ioas (chirurgo)[8].

Sul finire del ‘200, e in concomitanza con l’affermarsi degli Angioini, si verificarono molte conversioni, come attestato dal fatto che a far data dal 1294 nel Regno beneficiarono dell’esenzione dalle imposte regie circa 1.300 capifamiglia convertiti, di cui 138 nella sola N.[9], e dal fatto che nel 1354 la schola Hebreorum fu trasformata nella chiesa di S. Caterina Spina Corona proprio da un gruppo di convertiti. L’aristocrazia cittadina, inoltre, prese ad estendere allora i nomi delle proprie casate ai cristiani novelli, in una sorta di controtendenza rispetto a quanto avvenuto in epoca precedente, quando pare che alcuni esponenti del patriziato avessero aderito all’ebraismo[10].

Intanto, nel 1276, anche il gruppo ebraico napoletano aveva versato, separatamente dai cristiani,  l’imposta per la distribuzione della nuova moneta della zecca di Brindisi[11] e neppure il decreto di espulsione del 1288 portò ad un’effettiva scomparsa degli ebrei da N., come prova il fatto che, ancora nel 1294-1295, se ne trovavano qui di tassati come tali[12].

In seguito, sotto i re Roberto, Giovanna I, Ladislao e Giovanna II in tutto il Regno gli israeliti potettero spesso godere di maggiore tutela rispetto al passato[13] e la loro presenza, così, non scomparve.

A seguito della predicazione di Giovanni da Capestrano, nel 1427, regnante Giovanna II, si giunse ad un editto che annullava tutte le concessioni fatte in precedenza, ma che ben presto, anche con il favore di Martino V ed in ragione soprattutto dei danni economici che avrebbe causato, venne abrogato[14].

Con Alfonso I d’Aragona ed il figlio Ferdinando il Regno di Napoli divenne, a partire dalla metà del XV secolo, uno dei più ospitali e favorevoli per gli ebrei e perciò ne attirò molti anche da altre aree della penisola, decisi ad estendervi i propri traffici monetari: fu così che, ad esempio, nel 1469 i romani Elia di Dattilo, Dattilo di Elia ed Angelo di Mosè ottennero un salvacondotto per N. ed altre città.

Tale atteggiamento favorevole si mostrò, del resto, anche nel 1464, quando gli ebrei di N., Aversa e Capua si sentirono oltremodo gravati per la vigesima: le università cristiane riferirono alla Corte che se non si fosse provveduto presto, i giudei sarebbero andati via dal Regno, con grande danno per tutti. Per scongiurare tale eventualità, Ferrante I ordinò, in data 18 marzo, di trattarli humanamente.

Nel 1465, 1468 e 1481 Ferrante emanò dei Capitoli in favore degli ebrei, concedendo a questi ultimi anche la possibilità di godere della piena cittadinanza[15], mentre in campo giuridico già dal 1456 era attivo il “Bajulo generale e giudice ordinario”, unico ufficio autorizzato a stringere accordi validi con gli israeliti e a giudicarne le cause civili e criminali: esso sottraeva, di fatto, i gruppi ebraici dalla giurisdizione e dalle pretese fiscali dei vescovi[16].

Nel XV secolo molti banchieri già affermatisi in diverse realtà italiane non esitarono a voler fare di N. un’ulteriore area di attestazione e nello stesso periodo giunsero anche ebrei tedeschi e provenzali, questi ultimi indicati nelle fonti come francigeni[17].

Con l’editto di espulsione dalla Spagna del 1492, il Regno napoletano divenne meta degli israeliti della Penisola Iberica, della Sardegna e della Sicilia. Molti di coloro che sbarcarono a N. erano siciliani e sardi: tra i primi si ricordano Sadich Azeni con la famiglia e l’arcium et medicine doctor, consul siculorum ebreorum Salomone, mentre tra i secondi vi era Margotto Comprato di Cagliari. Il 10 agosto 1492, inoltre, vi fu un poderoso sbarco di iberici: in quell’anno si trovavano in città anche Moysè Costantino de Ragona e Samuel Anluba, i cui averi trasportati per mare erano stati sequestrati per sospetto di peste. Nel 1494 il gruppo iberico napoletano, organizzatosi, giunse ad inviare dei membri nelle altre città del Regno per esigere dai correligionari e compatrioti le quote stabilite dai proti per il pagamento di 1.800 ducati[18].

A distinguersi per importanza tra gli immigrati dalla Penisola Iberica furono senz’altro gli Abrananel. Isac Abravanel, già ministro di Alfonso V del Portogallo e tesoriere di Ferdinando e Isabella d’Aragona, fu accolto subito a corte e divenne amico di Alfonso II, al quale rimase a fianco anche a seguito della calata di Carlo VIII in Italia, fedeltà che gli costò il saccheggio e le fiamme della casa napoletana.

Tra la fine del ‘400 e i primi del ‘500 erano attestati in città anche i figli di Isac, con le rispettive famiglie: Giuda (noto anche come Leone), filosofo, poeta e medico, Giuseppe, medico e commerciante, e Samuele, la cui moglie Benvenida divenne responsabile dell’educazione della figlia del viceré. Sempre vissuto in ambiente nobiliare, Samuele avrebbe poi influito sull’accordo siglato dai correligionari con le autorità per scongiurare l’espulsione nel 1535.

Isac Abravanel aveva forse anche un altro figlio, identificabile con un Don Jacob, che nel 1520 ottenne conferma dei privilegi già concessi agli ebrei aragonesi per muoversi e commerciare su tutto il territorio[19].

Intanto però, a seguito della morte di Ferdinando I, la vita degli ebrei nel Regno iniziò a peggiorare: se già nel 1494 si erano registrati i primi attacchi a mezzo di sassaiole e la messa in atto di varie forme di molestia da parte della popolazione[20], con l’arrivo di Carlo VIII la violenza esplose. A N., mentre Alfonso II abdicava a favore del figlio Ferdinando II, la cittadinanza dichiarò di voler saccheggiare i beni degli israeliti, chiedendo anche che la maggior parte del gruppo ebraico fosse espulsa, che fosse stabilito un luogo di raccolta delle abitazioni dei pochi rimasti, che fosse ripristinato il segno distintivo, che fossero aboliti il giudice competente ed il tribunale speciale e che, all’atto di compravendita di immobili, i cristiani potessero godere dello ius congruo, una sorta di diritto di prelazione del vicino cristiano sull’acquisto. Ferdinando II, per calmare gli animi, accolse solo le ultime due istanze, ma ciò non impedì le aggressioni ed i saccheggi del 1495, ai quali fece eco il successivo moltiplicarsi di suppliche rivolte alla Sommaria da quanti, tra gli ebrei napoletani, erano per questo caduti in disgrazia[21].

Il 7 luglio 1495 Ferdinando II rientrò a N. ed inizialmente riconfermò i passati privilegi, ma già nel 1496 la popolazione chiese che gli ebrei fussero fora di Napoli, altramente fussero saccheggiati et tagliati a pezzi: ciò portò alla fuga di molti, nonostante il tentativo del sovrano di trattenerli proibendo la vendita dei beni ed il saldo dei crediti senza esplicita autorizzazione e senza idonea fideiussione de non recedendo a regno. Solo un accordo stipulato nel 1498, che permetteva agli ebrei di tornare a riscuotere liberamente i propri crediti dietro cessione al sovrano di metà dei crediti stessi e dei beni mobili e immobili, riuscì a bloccare l’ondata migratoria: nel 1499 era così ancora attestato nel Regno, e forse nella stessa N., anche il noto fisico messer David Calonimos[22].

La guerra con la Corona spagnola, però, fu occasione per un ritorno della popolazione a sentimenti anti-ebraici, che si concretizzò a N. nell’imposizione del segno nel 1506 e nell’annullamento dei debiti contratti con gli ebrei sino alla morte di Ferdinando II[23].

Nel 1510 si giunse alla Prammatica che decretava l’espulsione degli israeliti, similmente a quanto già avvenuto in Spagna e Sicilia: grazie però, a quanto pare, all’intervento delle stesse popolazioni, tra cui anche quella di N., a loro volta sostenute dagli ebrei nella battaglia contro l’introduzione del Santo Uffizio nel Regno, a questa Prammatica se ne dovette far seguire una seconda, che permetteva a 200 famiglie di restare, dietro pagamento di 3.000 ducati annui[24].

Se nel 1515 molti israeliti erano ormai partiti, già nel 1520 la popolazione di N. testimoniava della disastrosa situazione economica che il drastico ridimensionamento della presenza ebraica aveva portato e chiedeva che fossero elargiti privilegi agli ebrei rimasti e ne fossero invitati di nuovi. Carlo V rinnovò, allora, i privilegi emanati da Ferdinando I d’Aragona agli ebrei che già si trovavano a N., concesse un salvacondotto di 5 anni, stabilì un tributo annuale di 1.500 ducati da corrispondersi in 3 rate e permise che si stabilissero nel Regno 30 o 40 nuove famiglie ricche, che avrebbero aiutato a pagare il tributo. Inoltre, le disposizioni sovrane prevedevano che fossero i proti a ripartire equamente, e comunque secondo il principio di non superare i 40 ducati a nucleo, il tributo tra le famiglie della giudecca ed esentavano, altresì, il medico Maestro Leone Abravanel dal pagamento[25].

Nel 1521, però, frate Francesco de l’Angelina, predicando contro gli ebrei, chiese che ad essi fosse imposto di portare il berretto giallo secondo l’uso veneziano. Dopo un’iniziale resistenza, supportata anche dalle rimostranze di Leone Abravanel, il viceré fu costretto a cedere e il 28 aprile 1521 fu emanato l’editto relativo[26].

La situazione precipitò nel 1533 con il nuovo viceré Don Pietro di Toledo, che emanò un proclama nel quale dichiarava la volontà del sovrano di giungere all’espulsione degli israeliti, la cui “commistione” con i cristiani portava danni alle coscienze di questi ultimi. I napoletani inviarono allora suppliche a Madrid per far in modo che gli ebrei restassero e, grazie all’intervento di Samuele Abravanel, nel 1535 furono approvati dei nuovi capitoli, che permettevano agli ebrei di restare (o di immigrare) per 10 anni, ma che portavano il tributo annuale a 2.000 ducati, con un anticipo di ben 10.000[27].

Nel 1539 si giunse ad una nuova volontà di espulsione e nel frattempo si stabilì che gli ebrei dovessero vivere in luoghi appartati e indossassero un berretto rosso o croceo o giallo (i maschi), ovvero una fascia sugli abiti degli stessi colori (le femmine).  La popolazione di N. si oppose all’idea dell’espulsione e chiese che gli ebrei potessero rimanere sicuri fino al 1545 e per i 5 anni successivi (pagando un tributo maggiore).

La risposta dalla Spagna, nel 1540, fu negativa e nel maggio 1541 il bando di espulsione fu pubblicato [28]: alla cacciata degli ebrei corrispose la nascita del Monte di Pietà[29] in città.

Da allora la presenza ebraica a N., e più in generale nell’Italia Meridionale, si fece più sporadica, dato che quanti si recavano nelle diverse località dall’estero non potevano rimanervi che pochi giorni, e nel 1572 una Prammatica stabilì, dietro pena del carcere per 5 anni, che gli israeliti portassero il segno distintivo costituito da un berretto giallo.

Coloro che erano riusciti a non partire si convertirono: tra gli apostati si segnalò anche il banchiere di Benevento (ma originario della Spagna) Raffaele Usiglio, che nel 1559 proprio a N., con molte cerimonie et debite solemnitate ecclesiastiche e sotto la guida di Eleonora Sanseverino, ricevette il battesimo[30]. Nel 1571, inoltre, dodici donne catalane, vestite di giallo, salirono su di un palco allestito di fronte all’arcivescovado di N.: alcune di esse abiurarono l’ebraismo e furono salve, mentre le altre furono indirizzate a Roma dove vennero giustiziate[31].

Ancora nel 1702 si proibiva di restare a N., con disposizioni rinnovate poi nel 1708, a gruppi di ebrei precedentemente autorizzati a recarsi nel Regno per esercitare i propri negozi[32].

Con la fine della dominazione spagnola e l’avvento dei Borbone la situazione cambiò radicalmente e si procedette, anzi, a chiamare gli ebrei di nuovo nel Regno: il proclama del 1740, che pur proibiva l’usura, dava molte garanzie e lasciava parecchie libertà, compresa quella di culto, agli ebrei[33]. Così, nello stesso anno, allargarono i propri interessi economici a N. Moisè Sabato Almagià e famiglia di Ancona, Moisè Sacerdote di Genova, svariate famiglie ricche di Parigi ed altre importanti uomini d’affari come i Costa ed i Castro e compagni.

Le istanze anti-ebraiche, però, non erano del tutto scomparse e, concretizzatesi nel libello anonimo Sentimento intorno al proclama o sia al bando col quale si introducono gl’ebrei ne’regni delle due Sicilie e loro dipendenze, pubblicato in Napoli li 3 febbraio in quest’anno 1740 (una sorta di “storia in negativo” della presenza ebraica nel Regno unita ad una puntuale contestazione del proclama) fecero presa sulle folle e condussero, con un forte contributo arcivescovile, ad una profonda “revisione” delle disposizioni da poco emanate. A ciò si unì la predicazione del gesuita padre Pepe e una falsa accusa di circoncisione di un cristiano, che portarono a scoppi di violenza da parte della popolazione e convinsero gli ebrei a sospendere il trasferimento a N. o a fuggirne: nel 1743 la maggior parte delle famiglie giunte in città con l’avvento dei Borbone se ne erano già andate.

Il re Carlo si risolse, infine, nel 1746 a sconfessare quanto precedentemente fatto ed affermato e ad emanare il decreto di espulsione degli ebrei, che sarebbe entrato in vigore il 30 luglio 1747.

Nella prima metà dell’Ottocento alcuni israeliti erano, comunque, di nuovo attestati come residenti in città[34].

Vita comunitaria

Come in altre località del Regno, anche a N. esisteva un’ Università ebraica con propri ministri del culto, propri ufficiali ed una specifica organizzazione. All’interno di essa vi erano, naturalmente, i sacerdoti ed i rabbini, mentre la vita civile era regolata da procuratori, sindaci e proti, che, sotto gli Aragonesi, gli ebrei stessi potevano autonomamente eleggere.

I proti, nel numero di due o tre, scelti tra i maggiorenti, erano designati a controllare il rispetto delle leggi, conservare gli atti pubblici ed impedire ingerenze esterne nelle questioni interne alla giudecca. Vi era poi il gruppo dei deputati, che, come il nome già suggerisce, erano incaricati di specifici compiti (ad esempio la ripartizione o l’esazione delle imposte), nonché quello dei tesorieri, ai quali spettava di conservare le somme raccolte per le tasse e consegnarle. Esistevano poi figure di “collegamento”, per così dire, tra il nucleo ebraico e le autorità civili cristiane: erano i sindaci o procuratori, ai quali faceva capo la provincia per essere rappresentata, ad esempio, sul piano della tassazione. Essi, infatti, non solo vigilavano sui deputati taxaturi, ma si incaricavano di ricevere dalla Regia Camera gli ordini di pagamento e di trasmetterli ai tesorieri, facendo fronte personalmente ad eventuali ammanchi di denaro e dando voce a qualsivoglia tipo di reclamo[35].

Per quanto riguarda gli aspetti giudiziari gli ebrei napoletani, come gli altri del Regno, furono nel Quattrocento sottoposti civiliter et criminaliter alla Regia Camera della Sommaria[36]

Attività economiche

La prima attività svolta dagli israeliti a N. fu, con tutta probabilità, il commercio: all’epoca della guerra gotica, infatti, essi detenevano una sorta di monopolio degli approvvigionamenti cittadini. Tale occupazione li vedeva ancora impegnati mezzo secolo dopo, sotto il dominio bizantino, quando si specializzarono anche nel traffico degli schiavi, provenienti in gran parte dalle Gallie[37].

Nell’età di Federico II grande importanza assunse l’impegno del nucleo israelitico nella tintoria e nei processi ad essa connessi, come attestato dal fatto che la tintoria giudaica doveva allora versare ogni anno alla mensa vescovile di Pozzuoli 12 once[38].

Più importante del commercio, nel quale gli ebrei non raggiunsero le vette delle grandi compagnie cristiane, in particolar modo fiorentine,[39] fu sicuramente il prestito, settore in cui essi rivestirono un ruolo preponderante nel pieno ‘400.

Per questo periodo ci sono noti come banchieri, ad esempio, Bonaventura di Dattilo da Fano, gestore del banco di Lucca dal 1458 al 1460 (che nel 1475 preparava un viaggio per andare a vivere ed operare nella città campana) o Jacob di Elia da Terracina, residente a N., che era socio di Sabato da Lucca in una compagnia operante in città (1489)[40]. Proprio un ramo della famiglia da Terracina, poi, che si trovava in stretta connessione con i da Pisa, sarebbe rimasto presente a N. tra ‘400 e ‘500[41].

Negli anni ’70 del ‘400 uno dei prestatori locali più importanti era Angelo di Salomone di Benevento, il cui banco, definito nel 1478 dalla Gran Corte della Vicaria securo et fido et tuto[42], sappiamo da un atto di locazione del 1486 essere stato sito nel fondaco de Cimbro, presso la chiesa di S. Giorgio Maggiore[43].

Nel 1483 era attestato a N. anche Moisè di Abramo de Selmoneta, nella cui abitazione fu sanzionato a quella data l’atto di scioglimento di una società di prestito costituita con il fratello Maestro Angelo molti anni prima, con sede principale qui e filiali ad Aversa, Capua, Marigliano e Sermoneta[44].

Nel 1484 era, inoltre, a N. un banchiere di nome Simone che, in società con il feneratore Amodio di Cava dei Tirreni, gestiva una filiale di quest’ultimo nella capitale e nel 1493 abitava qui anche Angelo da Sezze, della compagnia gaetana di Abramo da Volterra, che nel 1494[45] fece ricorso alla Sommaria per la riscossione di crediti ad Eboli e Gaeta. Del resto anche un altro socio del banco di Gaeta, Lazzaro da Volterra, aveva affari a N., dove curava gli interessi del suocero Vitale di Isacco da Pisa[46].

Sappiamo che all’epoca di Giovanna II, e di nuovo sotto Alfonso I, l’interesse consentito fu del 45%, mentre con Ferdinando (1468) si rese lecito chiedere per i prestiti superiori a 50 ducati 2 ducati ogni 100 al mese e per quelli inferiori 3 ducati ogni 100 al mese[47].

Sono comunque segnalati anche per il XV secolo alcuni mestieri diversi dal prestito: nel 1482 è attestato in città un servo, Simone de Melle[48], vi erano poi i beccai legati alla macellazione rituale[49], nonché un mercante di formaggio e cera (Angelo Calbo, 1493)[50].

Ai commerci ed alle attività di negozio, infine, gli israeliti si dedicarono nuovamente a seguito del turbolento periodo fatto di espulsioni e ritorni del XVI secolo: ancora nel ‘700, infatti, quando la corona borbonica favorì un nuovo insediamento a N. l’usura fu tassativamente proibita[51].

Demografia

Beniamino da Tudela, nella descrizione del suo itinerario, aveva affermato che nel XII secolo vi erano a N. circa 500 individui ebrei, ma sappiamo da fonti fiscali che almeno in età angioina questi ultimi, nel numero approssimativo di 1.000, costituivano il 4% della popolazione cittadina[52], detenendo un ventesimo della ricchezza complessiva[53].

Quartieri ebraici

Se nel 1002 è attestato nei documenti un vicus judeorum sito in prossimità di Porta S. Gennaro, le fonti si fanno più certe e numerose tra la fine del secolo ed il successivo[54].

In età sveva già aveva preso importanza il quartiere di Portanova, nel quale si trovava una Piazza Sinoca (Sinagoga), una Porta Judaica e che era talvolta indicato nella sua interezza come Judaica[55]. L’insediamento in tale area fu piuttosto duraturo e venne ingrandito in occasione dell’arrivo di nuovi ebrei nel ‘400. A quell’epoca, infatti, esso comprendeva: la Giudecca Grande (sita a destra della chiesa di S. Maria Portanova), la Giudecca Piccola (posta tra la via di S. Biagio ai Taffetari e il vico di S. Vito ai Giubbonari), il Vico Sinoca (che dal retro della chiesa di S. Maria riconduceva alla Giudecca Grande), il Fondaco Giudecca (sito a sinistra della Giudecca Grande) e la Via Nova della Judecha (posta a destra della Giudecca Grande, denominata più tardi “via nuova degli Orefici”). Altri toponimi, attestati specialmente nei Libri dei Morti di S. Maria Portanova, erano l’Anticaglia della Giodeca, la Giodeca di S. Giovanni Corte, via S. Biase della Giodeca, il Fundico di Portanova della Giodeca, il Fundico di Lazaro e la Giodeca della Sellaria[56].

A quello di Portanova si aggiunse, poi, il quartiere denominato Giudechella di Porto, che occupava l’area del primo vicolo a sinistra di via De Pretis, andando da Piazza della Borsa a Piazza Municipio, e che è attestato anche dal toponimo di largo Mandracchio (nome che significa “scuola”)[57].

Nel 1329 si trovava , inoltre, testimoniato un Vico Scannagiudei (il cui nome richiamerebbe, secondo alcuni, un episodio di violenza perpetrato ai danni degli ebrei napoletani accusati di aver rubato una croce), posto nell’area di Forcella vicino alla via Giudeca Vecchia[58].

Per N., come per altre realtà dell’Italia Meridionale, è bene tener presente, comunque, che si deve parlare di Giudecche e non di Ghetto, nel senso proprio del termine.

Sinagoghe

Nel quartiere di Portanova era sicuramente presente una sinagoga nella seconda metà del XII secolo, come testimoniato dalla denominazione di Piazza Sinoca, assunta dal largo della chiesa di S. Maria: nelle sue vicinanze nel 1165 era attestata anche una schola hebreorum, adibita, con tutta probabilità, nella griptullinam che l’ebreo Ahcchisamac aveva avuto in permuta dal  monastero di S. Marcellino[59] e trasformata in seguito, nel 1354, nella chiesa di S. Caterina Spina Corona da un gruppo di neofiti. Un’altra schola doveva, poi, senz’altro esistere nella Giudechella di Porto, dove,  infatti, ancora in epoca contemporanea è attestato il toponimo “Mandracchio” (termine che deriva da una parola ebraica per “scuola”).

Cimitero

Nel 1908 è stato scoperto a N. un cimitero del IV e V secolo, ubicato nell’area detta del Moricino e di S. Maria del Carmine[60]. Esso fu in uso per molti secoli, come testimonierebbe una tradizione cronachistica, che riferisce che proprio qui fu sepolto il corpo di Corradino di Svevia, decapitato nel 1268[61].

I cimiteri ebraici a N. però, come del resto i quartieri, furono certamente più di uno: vicino a quello del Moricino, la figlia del medico marsigliese Giacobbe, Regina, prima del 1268 aveva, ad esempio, comprato un pezzo di terra ad uso cimiteriale, che era poi divenuto di proprietà dei figli di Mele Sacerdote e da questi era stato ceduto ad altri ebrei nel 1283, previa autorizzazione dei nobili di S. Maria ad Cosmè[62].

Dotti, rabbini e personaggi famosi

Numerosi furono i dotti ebrei presenti nell’Italia Meridionale e a N., dove nel 1244-1245 era attestato Moshè ibn Tibbon, nipote di Yaqob Anatoli, del quale riprese gli interessi astronomici[63]. In quest’ultimo campo di studio sarebbe stato, poi, attivo anche Isaac ben Moshè Arama (ca. 1420-1494), che si trasferì a N. dopo l’espulsione del 1492 e che riportò in auge la discussione di Michele Scoto in merito alla possibilità che le sfere celesti abbiano un’anima e all’eternità del mondo[64].

Nel 1277 a N. il siciliano Mosheh da Palermo ricevette incarico da Carlo d’Angiò di tradurre dall’arabo al latino tutta una serie di opere mediche custodite a Castel dell’Ovo e tra le sue traduzioni la più nota resta quella del testo pseudo ippocratico Liber de curationibus infirmitatum equorum.

Alla corte napoletana di re Roberto operò, poi, Shemariah ben Elijah di Negroponte[65], autore di commentari del Pentateuco, del  Libro di Giobbe e delle Cantiche (1328), nonché autore del Sefer ha-Mora (1346), dell’ Elef ha-Magen e di alcune poesie.  

Più testimoniata è l’attività secondo-quattrocentesca, epoca in cui Mosheh ben Shem Tov Haviv terminò la grammatica Perah shosham (1484) e Isac Abravanel il suo commento alla Genesi, i Prophetae priores (1493) e il Commentario in Danielem (1497)[66].

In una yeshivah napoletana insegnò il notissimo umanista Yehuda Messer Leon, che ebbe nel 1469 da Federico III il titolo di dottore in medicina e filosofia e la facoltà di insignirne a sua volta i correligionari[67].

Originario di N. era poi Calonimos ben David, autore del Sha’ar ha-te amim (breve trattato sugli accenti) e traduttore dell’averroistico Destructio destructionis philosophie Algazelis, che si trasferì ad inizio Cinquecento a Venezia, mentre originario di Lecce era Avraham ben Meir de Balmes, che conseguì proprio a N. nel 1492 il titolo di artium et medicine magister, avendo ottenuto uno speciale permesso da Innocenzo VIII[68], che già dal 1472 era medico della famiglia reale e che si trasferì, poi, a Venezia e Padova. Altri medici legati alla corte napoletana furono Beniamino Portaleone e Mosè Bonavoglia, oltre, naturalmente, agli Abravanel ed ai Calonimos[69].

Molti erano coloro che esercitavano in generale la medicina a N., ma il titolo dottorale fu conferito nel 1488, in via eccezionale, a David Baquix, che, probabilmente già magister, fu esaminato dal protomedico del Regno Silvestro Galeaota[70].

David ibn Yahyah, nativo di Lisbona (1465), che era giunto in Italia nel 1496, fu tra coloro che restarono a N. fino alla cacciata del 1541, divenendo rabbino nel 1518, aprendovi una scuola e componendo svariate opere di grammatica e filosofia[71].

Un altro noto rabbino, Obadiah Yare da Bertinoro era stato precedentemente in città (1486), ma solo di passaggio durante il suo viaggio verso la Terra Santa: non trovando, infatti, qui subito una nave per proseguire, andò a Salerno per 4 mesi e poi ritornò a N. al momento di partire[72].

Attivo a N. fu, inoltre, Jacob Baruch ben Judah Landau: originario della Germania, tra il 1487 e il 1492 fece vedere qui la luce al suo Sefer agur, composto per Ezra Abraham ben David Obadiah, nel quale si nota familiarità con i testi cabbalistici[73] e che è considerato da alcuni come una sorta di supplemento al Turim di Jacob ben Asher[74]. Dello stesso autore si ricorda, poi, il Sefer hazôn[75]

Nel 1492 si trovava a N. anche l’astronomo Abba Mari Halfon[76], autore del Ta’ame Mizwot, testo contenente note sulle Tavole Alfonsine, mentre nella prima metà del ‘500 vi era attestato Baruch da Benevento[77], noto per aver fornito insegnamenti relativi allo Zohar e ad altre opere cabbalistiche al cardinale Egidio da Viterbo ed a Johann Albrecht Widmanstadt.

Nativo di N. era poi Josef ben Judah Sarko[78], grammatico e poeta della prima metà del XV secolo: autore del Rab Pe'alim (1429), una grammatica ebraica, egli fu con tutta probabilità anche uno tra gli insegnanti di Judah Messer Leon.

È facile immaginare quanto, in un centro culturale quale N., fosse ampia anche la produzione manoscritta.

Sappiamo, ad esempio che nel 1469 Isac ben Mosheh ben Abragal copiò per un tale Shabbetay i Salmi e che nel 1474 Shabbetay ben Yehoshua da Tivoli copiò per Shem Tov Teglio il commento a Isaia di David Qimhi. Nel 1480 diversi amanuensi copiarono il Miklal yofi (Perfezione della bellezza) di Yehudah Messer Leon, mentre nel 1481 Josef ben Natan ben Israel copiò un mahazor di rito romano per Mordekay ben Yehudah da Roma e altri amanuensi copiarono un rituale di preghiere italiano miniato. All’attività dei copisti si affiancava, infatti, quella dei miniatori, la cui opera si distingueva qui, alla fine del Quattrocento, per le decorazioni prive di elementi segnatamente ebraici[79].

Stampa ebraica

I tipografi ebrei furono particolarmente noti e presenti a N. durante la seconda metà del XV secolo e si occuparono non solo di testi in ebraico, ma anche in latino e greco, adoperando uno stile elegante e caratterizzato dall’uso di maiuscole e punteggiatura.

Tra il 1487 e il 1492 operarono qui Josef del fu rabbino Jacob, affiancato dal correttore Jacob Baruch del fu rabbino Jehuda Lando, entrambi tedeschi, Samuele di Samuele Romano, con il correttore Chaiim di Isacco Levita (tedesco), il rabbino Josef con il figlio (tedeschi) e il correttore rabbino Moses di Scem Tov (spagnolo), Josef Aschenazi e il figlio Azeriel[80] con il correttore Salomone di Peretz, Asher figlio del rabbino Peretz Minza e Josua Salomone Soncino[81].

Tra le opere di maggior peso pubblicate dall’officina Aschenazi, nella quale videro la luce 13 edizioni (di cui ben 10 principes) in 6 anni, si ricordano: i Proverbi, con commento di Immanuel ben Shelomoh da Roma, il dizionario biblico ebraico-arabo-volgare Maqre dardeqe, il poemetto satirico Even bohan di Calonimos ben Calonimos, la traduzione ebraica del Canone di medicina di Avicenna[82], il commento di Mosheh ben Naham al Pentateuco  e l’edizione congiunta del Sefer agur e del Sefer hazon[83].

Dall’officina Soncino uscirono ancora una volta 13 edizioni (ma solo 3 principes), tra cui si segnalano la grammatica anonima Petah devaray e, soprattutto, una Bibbia in 3 volumi (1491-1492)[84].

È da sottolineare che entrambe le tipografie furono solite usare delle silografie, preparate da artisti cristiani, per abbellire i propri volumi con eleganti cornici, come quelle mostrate dalla Bibbia dei Soncino, citata poco sopra[85].

All’esistenza delle tipografie corrispondeva quella delle librerie: intorno al 1483 doveva essersi, ad esempio, stabilito a N. il libraio veneziano Jacob de Leone, mentre sappiamo che nel 1491 erano attivi qui anche Davit Bono e Graciadio Rout, i quali, ottenuto il foglio di immunità dai diritti doganali, si trovarono comunque in lite con la dogana di Molfetta per la spedizione di ben 16 casse di libri[86].

 

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[1] Colafemmina, C., Insediamenti e condizione degli ebrei nell’Italia meridionale e insulare, pp. 224-225. Anche un’iscrizione in latino ed ebraico del V secolo, attribuita precedentemente a Salerno, si è scoperta appartenere a N. (cfr. Ferrua, A., Addenda et corrigenda al Corpus Inscriptionum Iudaicarum, pp. 43-44).

[2] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale, p. 33.

[3] Ibidem. Cfr. anche Ferorelli, N., op. cit., pp. 35-36.

[4] Procopio, De bello gotico, I, 10.

[5] Ferorelli, N., op. cit., p. 37.

[6] Beniamino da Tudela, Libro di viaggi, pp. 46-47.

[7] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio Meridionale, pp. 250-256. Cfr. anche Ferorelli, N., op. cit., p. 59.

[8] Ferorelli, N., op. cit., pp. 60-61.

[9] Abulafia, D., L’Età Sveva e Angioina, p. 71.

[10] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio Meridionale, pp. 250-256.

[11] Ferorelli, N., op. cit., p. 72.

[12] Abulafia, D., op. cit., p. 73.

[13] Ivi, pp.  73-74.

[14] Ivi, p. 76.

[15] Bonazzoli, V., Gli ebrei nel Regno di Napoli, p. 530.

[16] Patroni Griffi, F., Napoli aragonese, p. 46.

[17] Ferorelli, N., op. cit., p. 92.

[18] Ivi, pp. 97-98.

[19] Ferorelli, N., op. cit., pp. 98-100.

[20] Ivi, p. 199. Viviana Bonazzoli ha messo in evidenza, del resto, come nel Regno, parimenti che in altre zone della Penisola, avesse preso piede nei decenni del Medioevo e della prima Età Moderna la predicazione antiebraica, talvolta sostenuta da accuse di omicidi rituali (Cfr. Bonazzoli, V., Gli ebrei nel Regno di Napoli, passim).

[21] Ferorelli, N., op. cit., pp. 199-201; Bonazzoli, V., op. cit., p. 502.

[22] Ferorelli, N., op. cit., pp. 206-209; Bonazzoli, V., op. cit., pp. 506-507.

[23] Ferorelli, N., op. cit., pp. 211-212.

[24] Ivi, p. 214. È bene sottolineare, inoltre, che entrambe le Prammatiche erano rivolte ai soli ebrei e non comprendevano i cristiani novelli (ivi. p. 219).

[25] Ivi, pp. 220-222.

[26] Ivi, p. 223.

[27] Ivi, pp. 226-227.

[28] Ivi, pp. 228-229. Per la specifica dei conteggi si veda anche p. 229.

[29] Bonazzoli, V., Gli ebrei nel Regno di Napoli, p. 496.

[30] Zazo, A.,  I primi e gli ultimi ebrei, pp. 7-8

[31] Ferorelli, N., op. cit., p. 237.

[32] Ivi, pp. 238-239.

[33] Per i vari punti del proclama cfr. ivi pp. 239-241.

[34] Ivi, pp. 243-248.

[35] Ivi, pp. 116-119.

[36] Ivi, p. 184.

[37] Colafemmina, C., Insediamenti, pp. 224-225.

[38] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio meridionale, p. 251.

[39] Ivi, p. 254.

[40] Luzzati, M., Dalla Toscana a Napoli (e ritorno) alla fine del Quattrocento: note sulla koinè ebraica italiana, pp. 166-167. In quell’anno il da Terracina ed il da Lucca ottennero da Ferdinando I delle commendatizie dirette al governo lucchese.

[41] Ivi, pp. 172-173. Ancora in questo periodo Laura di Jacob di Elia da Terracina (moglie di Simone di Vitale da Pisa) era indicata come originaria della città.

[42]Silvestri, A., Gli ebrei nel regno di Napoli durante la dominazione aragonese, p. 43.

[43] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio Meridionale, pp. 250-256.

[44] Leone, A., Napoli. Francesco Pappacoda 1483, pp. 55-58.

[45]Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Campania (I), p. 34, doc. 2 e pp. 37-38, doc. 7; Idem, Documenti per la storia degli ebrei a Napoli e in Campania nei secoli XV-XVI, pp. 19-20, doc. 16.

[46] Veronese, A., Una famiglia di banchieri ebrei, pp. 135-139.

[47] Bonazzoli, V., op. cit., p. 539.

[48] Ferorelli, op. cit., p. 135 e nota 54

[49] Ivi, nota 57.

[50] Ivi, nota 81.

[51] Ferorelli, N., op. cit., pp. 239-241.

[52] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio meridionale, pp. 250-256.

[53] Ferorelli, N., op. cit., p. 61. Il Ferorelli ritiene, altresì, che il numero degli ebrei napoletani nella seconda metà del XIII secolo si avvicinasse piuttosto alle 1.500 unità.

[54] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio meridionale, pp. 250-256 e Ferorelli, N., op. cit., p. 60.

[55] Ferorelli, N., op. cit., p. 59

[56] Ivi, pp. 100-101.

[57] Ivi, p. 101.

[58] Ivi, p. 60.

[59] Ivi, p. 59. Per la permuta vedi la parte iniziale della presente voce.

[60] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio meridionale, p. 249 e nota 12.

[61] Ferorelli, N., op. cit., p. 60.

[62] Ibidem.

[63] Morpurgo, P., La cultura scientifica, p. 195.

[64] Ivi, p. 193.

[65] Cfr. J.E., alla voce “Ikriti, Shemariah ben Elijah of Negropont”.

[66] Ferorelli, N., op. cit., pp. 98-99.

[67] Tamani, G., Manoscritti e libri, p. 239.

[68] Ibidem.  A tal proposito, invece, l’Arieti sostiene che il Papa avesse concesso semplicemente l’autorizzazione a sostenere il rigoroso esame (Cfr. Arieti, S., La cultura medica, p. 183).

[69] Ferorelli, N., op. cit., pp. 132-133.

[70] Arieti, S., op. cit., p. 183.

[71] Ivi, p. 240.

[72] Cfr.  The Letters of Obadiah da Bertinoro, in Masterpieces of Hebrew Literature, a cura di Leviant, C., New York 1969, p. 479.

[73] Lacerenza, G., Lo spazio dell’ebreo, p. 393.

[74] Cfr. J.E. alla voce “Landau”

[75] Cfr. Lacerenza. G., Lo spazio dell’ebreo, p. 398.

[76] Cfr. J.E., alla voce “Halfon, Abba Mari”.

[77] Cfr. J.E., alla voce “Baruch of Benevento”.

[78] Cfr. J.E., alla voce “Sarko (Zarko, Zarik), Joseph ben Judah”.

[79] Tamani, G., op. cit., pp. 231-232. Per approfondire il discorso sui manoscritti e le miniature si rimanda al contributo di Lacerenza, G., Lo spazio dell’ebreo, pp.

[80] Ivi,p. 236.

[81] Ferorelli, N., op. cit., p. 133. Cfr. anche Patroni Griffi, F., Campania e Lazio Meridionale, p. 255.

[82] Esso fu l’unico testo di medicina stampato in ebraico nel ‘400 (cfr, Tamani, G., op. cit., p. 236).

[83] Tamani, G., op. cit., p. 236.

[84] Ibidem.

[85] Tamani, G., op. cit., p. 237.

[86] Ferorelli, N., op. cit., pp. 133-134.  Sull’episodio cfr. anche Tamani, G., op. cit., pp. 237-238. 

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