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Tarsia
\nProvincia di Cosenza. Secondo alcuni era l'erede dell’antica Taurasia o Caprasia e secondo altri era stata fondata in epoca normanna dall’omonima famiglia cosentina, cui fu infeudata. T. fu, poi, una pertinenza di Bisignano e all’inizio del Seicento fu acquistata dagli Spinelli che, insigniti del titolo di Principi, ne conservarono il possesso fino all’abolizione del feudalesimo. Con le riforme amministrative attuate dai francesi fu inclusa, dapprima, quale università, nel governo di Spezzano Albanese e poi tra i Comuni del circondario facenti capo a questo centro.
\nAllo stato attuale della ricerca, una presenza ebraica a T. si può inferire dalle disposizioni date dalla Sommaria nel 1512, atte a censire quanti tra israeliti e neofiti avevano lasciato la località in forza del decreto di espulsione[1]. Nel 1513, infatti, la stessa Sommaria ordinò che il Comune fosse esentato dalle tasse prima dovute da ben 5 famiglie di cristiani novelli ormai partite: esse erano quelle di Dominico Bono Inventie, di Angelo Ienco seu Boye, di Altobello Romano, di Ioanne Cristiano e di Berardino Bono Inventie[2]. Tale ordine, infine, fu ripetuto nel 1515[3].
\n
Bibliografia
Colafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
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[1] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 520.
\n[2] Ivi, doc. 529.
\n[3] Ivi, doc. 543.
\nCariati
\nProvincia di Cosenza. Insediamento risalente all’epoca dei Bruzi, C. fu un importante centro della Magna Grecia e dal V secolo divenne sede vescovile. Dopo un periodo di decadenza, fu una strategica fortezza militare nel Medioevo, età nella quale fu presa da Roberto il Guiscardo, alla cui famiglia rimase sino a che non passò ai Sangiorgio. Nel ‘300 C. andò, poi, ai Ruffo e, dalla metà del XV secolo, ai Riario, ai Coppola, ai Borgia e agli Spinelli, che l’avrebbero tenuta sino all’abolizione dei feudi.
\nUna presenza ebraica a C. è testimoniata almeno dal XV secolo[1]: sappiamo, infatti, che nel 1451 era attestato qui Zaga de Barono, in lite con il fratello Mosè[2], e che nel 1484 questa giudecca, godendo di un privilegio, era stata esentata dal pagamento di 40 ducati, fatti gravare sulle altre[3].
\nIn particolare, una lista di fuochi del 1473 ci fornisce alcuni nomi di israeliti appartenenti al nucleo locale (l’erede di Mase Sclavo e l’erede di Yoli, ormai trasferitisi a Policastro, Stera miserabile, Gayo de Lia e donna Torella, madre di Mosè Prantendi)[4], mentre un documento del 1475 comunica quanti si erano a quella data allontanati ed erano residenti altrove (Gaymo de Lia e Zaratello, spostatisi a Crotone, David e Israel, andati a Strongoli, Carela e l’erede di Nussi, andate a Rossano, Allegretto Brusco, trasferitosi a Torano, Carone e Guglielmo, andati a Tarsia)[5].
\nNel 1489 la Sommaria esentò gli ebrei di C. dalla corresponsione di ulteriori imposte rispetto ai pagamenti già effettuati in occasione del Natale, della Pasqua e in agosto[6].
\nNel 1490 e nel 1491, anno in cui un Gabriele di C. risiedeva a Santa Severina e un Anania di C. a Corigliano[7], il nucleo ebraico locale si lamentava per una tassa di tre carlini per fuoco, imposta per i lavori delle fortificazioni[8] e veniva esentato dai tributi richiesti dal Comune in ragione dello stato di povertà[9] , mentre nel 1493, in occasione della Settimana Santa, subiva violenze da parte della popolazione[10], sebbene, già nel 1491, la Sommaria avesse ordinato al Capitano della città di proteggere gli ebrei da tali episodi[11].
\nNel 1494 la Sommaria dovette ritornare, poi, sulla questione delle vessazioni degli israeliti da parte dei cittadini, ordinando di recedere da tali comportamenti dietro una multa di 100 once[12].
\nTraccia del gruppo ebraico locale si aveva ancora nel 1511, quando, però, 6 nuclei familiari di esso si erano ormai allontanati[13].
Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
\nFerorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana al secolo XVIII, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.
\n\n
[1] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale, p. 111 nota 158.
\n[2] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 135, Ferorelli, N., op. cit., p. 148 nota 1.
\n[3] Ferorelli, N., op. cit., p. 165
\n[4] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 179.
\n[5] Colafemmina, C., op. cit., doc 183.
\n[6] Ivi, doc. 249.
\n[7] Ivi, doc. 261 e doc. 265.
\n[8] Ferorelli, N. op. cit., p. 171 e Colafemmina, C. op. cit., doc 269 e 278.
\n[9] Colafemmina, C., op. cit., doc. 275 e 276
\n[10] Ferorelli, N., op. cit., p. 193.
\n[11] Colafemmina, C., op. cit., doc. 270.
\n[12] Ivi, doc. 323.
\n[13] Ivi, doc. 507.
\nCalopezzati
\nProvincia di Cosenza. Sorta secondo alcuni nel V-VI secolo, nell’area in cui si sarebbe trovato l’abitato greco di Borea, secondo altri nell’XI, attorno al monastero di San Nicola, e secondo altri ancora nel XIV, C. fu retta fino al pieno ‘400 dalla famiglia Ruffo. In seguito passò ai Cavaniglia, agli Abenante, ai Crispano e agli Spinelli, per andare nel XVI secolo ai Mandatoriccio e ai Sambiase, cui rimase sino all’avvento napoleonico.
\nTracce della presenza ebraica a C. si hanno soprattutto per l’età aragonese, periodo che vide una capillare diffusione degli israeliti fin nei centri più piccoli della Calabria[1].
\nSappiamo che nel 1488 si trovava qui un ebreo di nome Racco, il quale compariva nel registro del tesoriere della Calabria Citra per aver corrisposto 1 tarì per l’acquisto di una pala per una pressa da olio[2].
Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
\nVivacqua, S., Calabria, in L’ebraismo dell’Italia Meridionale, IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Potenza – Venosa, 20-24 settembre 1994), Galatina 1996, pp. 295-310.
\n[1] Cfr. Sonia Vivacqua, Calabria, pp. 295-296.
\n[2] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 246.
\nAmantea
\nProvincia di Cosenza. Il nucleo della vecchia A. corrispondeva alla cittadella bizantina di Nepetia, che nel VII secolo fu conquistata dagli arabi, i quali ne fecero il centro di un emirato e la ribattezzarono Al-Mantiah. Riconquistata da Niceforo Foca nell’885, A. divenne in seguito sede vescovile e per tutto il Medioevo e l’Età Moderna mantenne la condizione di città demaniale.
\nUna presenza ebraica ad A. è testimoniata almeno dalla seconda metà del XV secolo[1] e ritorna nella documentazione del XVI. Al 1540 risale, infatti, il rifiuto del gruppo ebraico di pagare le tasse imposte dalle locali autorità, giustificato dal fatto che esso corrispondeva già, insieme agli altri correligionari del Regno, una grossa contribuzione annuale alla Corte. La questione giunse di fronte alla Sommaria, che dette ragione agli israeliti e dispose la restituzione delle somme loro estorte[2].
Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
\nFerorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana al secolo XVIII, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.
\n[1] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale, p. 111 nota 158.
\n[2] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 583 e 584.
\nAiello Calabro
\nProvincia di Cosenza. Centro di origine romana, A. fu distrutto dai Saraceni nel X secolo, ma fu ben presto ricostruito e poté resistere agli attacchi dei Normanni. Nella seconda metà del Duecento gli Angioini lo infeudarono a Ludovico di Royle, sostituito poi da Giovanni d’Angiò, ed in seguito appartenne ai Siscara e ai Cybo-Malaspina. Colpita duramente dal terremoto nel XVII secolo, la cittadina fu oggetto della repressione borbonica nel successivo, dal momento che aveva proclamato la Repubblica.
\nL’esistenza di un nucleo ebraico ad A. è testimoniata direttamente nel 1512, anno in cui il locale Comune ne attesta allontanamento a seguito del generale decreto di espulsione[1].
Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
\n\n
[1] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, p. 46 e doc. 516.
\nAcri
\nProvincia di Cosenza. Il centro, che secondo alcuni è l’erede dell’antica Pandosia e secondo altri quello dell’insediamento bruzio di Acra, è attestato nel XII secolo come Akeras. Nel corso del Medioevo A. assunse una certa rilevanza e più tardi fu coinvolta nello scontro fra Angioini e Aragonesi, schierandosi con i primi. Distrutta in buona parte sul finire del ‘400, sopravvisse comunque e nel XVIII secolo fu tra le prime località calabresi a proclamare la repubblica.
\nTracce di una presenza ebraica ad A. si hanno almeno dall’età angioina: al 1270 risale, infatti, una provvisione riguardante gli ebrei della località[1], i quali compaiono anche in un registro di tassazioni del 1276[2] e in uno del 1277[3].
\nIl nucleo israelitico esisteva ancora nel 1488, quando era ricordato in merito ai privilegi del vescovo di Bisignano[4].
\n\n
Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
\n\n
[1] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 18.
\n[2] Ivi, doc. 24.
\n[3] Ivi, doc. 26.
\n[4] Ivi, doc. 253.
\nCapoluogo di provincia. Capitale del popolo dei Bruzi (IV secolo a.C.), divenne sotto i Romani una stazione sulla via Capua-Reggio e con Augusto si trasformò in città di commerci. Fra VIII e IX secolo C. vide susseguirsi la dominazione longobarda e bizantina, per essere poi distrutta dai saraceni e riedificata nel 988. Con gli Svevi la città aumentò di importanza divenendo ducato e con gli Angioini fu elevata a centro dei domini calabresi. Capitale della Calabria Citra Naethum sotto gli Aragonesi, C. fu in seguito capoluogo della Calabria Citeriore e nel XVI secolo venne definita l’Atene della Calabria, per il fiorirvi degli studi umanistici. Dal punto di vista politico la città seguì nei secoli successivi le vicende dei Borbone e degli Austriaci.
\nUn nucleo ebraico era presente a C. sicuramente da prima del Mille e nel 1093 esso pagava le decime solidorum e le gabelle sulla tintoria ed altre attività al vescovo. Ulteriori attestazioni degli ebrei si hanno, poi, nel 1113 1212 e 1223: residenti al tempo di Federico II nell’ampio quartiere detto Cafarnao o Cafarnone, essi avevano costruito, forse nel 1160, una sinagoga, che lo svevo aveva concesso, in seguito, al vescovo Luca[1]. Da un registro del 1268-1269 sappiamo, inoltre, che gli ebrei erano tassati in quel periodo per 8 fuochi[2].
\nNel 1276 gli israeliti cosentini si trovarono, come altri correligionari calabresi, a dover versare un tributo per la nuova moneta della zecca di Brindisi, e corrisposero alla Corte tarì 2.22.16[3], mentre fra il 1311 ed il 1324 furono fatti oggetto di soprusi e angherie da parte delle autorità locali, intenzionate privarli di molti dei loro averi, che provocarono spesso le reazioni della stessa Corte in loro difesa[4].
\nDal punto di vista fiscale gli ebrei locali versavano nel XIV secolo mediamente 7.14.10 once, somma che, però, fu ridotta nel 1396, quando, essendo assai diminuiti di numero, vennero sgravati di 3.20 once[5].
\nNel 1402 Bonifacio IX aveva nominato l’ebreo, nonché miles, Angelo di Samuele giudice civile e criminale dei correligionari della città, di Montalto e di Crotone[6] e con il 1422 il gruppo ebraico fu sottratto alla giurisdizione vescovile[7]: alla metà del XV secolo esso doveva essere di una certa entità, se pagava per la “mortafa” ben 3 once (corrispondenti a circa 90 tarì)[8].
\nNel 1455 erano attestati, come cittadini di C., Uriel di Zafarana e Abramo e Palumba figli di Sabatello de La Regina, i quali possedevano però anche beni a Castrolibero[9].
\nNella seconda metà del ‘400 si verificò un episodio di violenza all’interno della stessa Comunità, ben testimoniato dalla documentazione coeva: un’ebrea, di nome Zacha Fossana, fu aggredita e presa per la gola, nel bel mezzo della strata iudeorum, da tale Czacha figlio di Bacchueczi, ma fu strenuamente difesa da Abachuczo, che ferì l’aggressore sotto gli occhi dei testimoni, anch’essi ebrei, Muse discipuli Juse de Victa aurifice, Simoni de Stimanello e Grabrel de Gaudiuso[10].
\nNel 1465 gli israeliti cosentini furono esentati, insieme a quelli di Lecce e di poche altre località, dal contribuire ad un’imposta straordinaria di 3.000 ducati[11], mentre nel 1473 furono incaricati di fissare l’onere fiscale di tutti i giudei della provincia[12].
\nDal 1476 al nucleo dei “regnicoli” si unì un nutrito gruppo di correligionari provenienti dai domini spagnoli, i quali fecero salire a 320 il numero complessivo, ma tesero a mantenere una propria identità separata[13]: nel marzo del 1484 era, ad esempio, attestato a C. un Maestro Iaco Spagnolo, il quale, avendo precedentemente vissuto anche a Montalto, si era poi trasferito qui con la famiglia[14].
\nIntanto, nel 1483, gli ebrei della città si erano visti estendere tutte le franchigie già concesse a Montalto[15] e nel 1488 il loro numero era salito ormai a 36 fuochi[16], divenuti 63 nel 1494[17], quando era testimoniata la presenza in città di Paris Zagada, erede del fu Ruben[18].
\nLa discesa di Carlo VIII in Italia portò anche a C. al verificarsi di soprusi ed episodi di violenza verso gli ebrei: nel 1495, mentre il banchiere Jacopo di Angelo risultava ormai povero per essere stato saccheggiato[19], Mosè de Gauy di Cesena veniva condannato alla confisca di tutti i beni per aver seguito i nemici del re ed aver abbandonato il Regno[20].
\nIl nuovo sovrano Federico avviò una politica favorevole agli ebrei, anche nel tentativo di ostacolarne l’emigrazione e nel 1497 si mosse a favore del nucleo cosentino contro i soprusi operati dalle autorità e dalla popolazione[21]. Già nello stesso anno, però, l’Università cittadina chiese che gli israeliti portassero il segno distintivo del tau e, nel 1507, che abitassero in un luogo separato dai cristiani e non tenessero botteghe nella piazza principale[22].
\nÈ da ricordare che nel primo decennio del Viceregno spagnolo un’importante famiglia di ebrei cosentini era quella che si denominava de Turano e che era formata da Bengiamin e dai suoi figli Moyse, Nau, Davit e Maczato: essi erano, in particolare, proprietari di terreni siti nell’area di Rende. Bengiamin morì nel 1510 e nell’inventario dei beni redatto dopo la sua morte, furono registrati anche vintisey peczi de libri ebraychi grandi et piccoli[23]. Nipote di Bengiamin, tramite il figlio di questi Davit, fu Benigno de T., noto già nel 1535 per un’obbligazione pecuniaria presa dinanzi alla Camera della Sommaria insieme a David da C.[24]
\nNel 1540 si giunse a C., come altrove nel Regno, all’espulsione degli ebrei[25]: tra coloro che furono incaricati di cercare di trattare la revoca del bando vi fu anche l’appena citato David da C., affiancato da Benedetto da Torano[26].
\n\n
Attività economiche
\nL’attività economica principale del gruppo ebraico cosentino era senz’altro il prestito, favorito, tra l’altro, da importanti occasioni commerciali come la nota fiera della Maddalena[27].
\nNel 1457 Sabatino di Mosè da Sessa chiese di poter avere l’esclusiva del prestito per 15 anni nella città e nel distretto, per sé e la propria famiglia. La domanda fu accolta e confermata per ulteriori 15 anni nel 1469, ma nel 1478 gli altri ebrei locali chiesero ed ottennero di poter tenere banco[28].
\nNella seconda metà del XV secolo il tasso di interesse praticato era del 30% e si accettava di prestare su beni di valore inferiore alla somma mutuata: le fonti ci dicono che alcuni chiedevano beni mobili che valevano lo quadruplo di quanto presentato[29].
\nNel 1487 Lazzaro da Corigliano Calabro era tra i giudei più facoltosi di C., costretti a prestare denaro alla Regia Corte[30]: egli si trovava in città ancora nel 1499[31].
\nNegli anni ’80 del Quattrocento era poi attivo a C. anche il banchiere Lazzaro da Volterra, che si occupava degli affari del suocero, il noto prestatore Vitale di Isacco da Pisa[32].
\nNel 1501 gli ebrei ottennero di non essere costretti a prestare[33], ma, avendo in seguito lasciato in molti la città a causa del clima ostile, nel 1507 furono reclamati nella loro attività dalla stessa popolazione, oppressa dai banchieri cristiani[34].
\nNel 1509 operava come feneratore a C. anche il convertito Luca Giovanni di Sorrento[35].
\nCon l’espulsione dal Regno i prestatori cosentini rivolsero altrove i loro affari, ad esempio verso i territori della Santa Sede: potrebbe questo essere stato il caso di Davide di Josef da C. che, attestato a Piperno nel 1542[36], ottenne una tolleranza biennale, con relativo rinnovo, per questa località per sé, per i familiari ed i soci nel 1544[37].
\nMa il prestito non fu l’unica occupazione degli ebrei locali, tra i quali vi furono certamente dei medici, come si deduce, indirettamente, anche dall’istanza presentata nel 1432 dal doctor della diocesi di C., Giovanni de Cava, al Papa affinché fosse impedito loro di curare pazienti cristiani, che non avessero prima fatto testamento e non si fossero confessati, ricevendo l’assoluzione[38].
\nCosentino fu il medico Sterona, attestato nel 1429, e nella città dimorava nel 1404 anche Benedetto di Roma, che fu incaricato dal re Ladislao di esaminare in medicina e chirurgia Donna Cusina, moglie del calderaro di Dipignano Filippo Pastino[39].
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Produzione manoscritta
\nCome altre località della Calabria, C. conobbe un fiorire di copisti ebrei lungo tutto il XV secolo.
\nNel 1458 Farez di Samuele copiò per lo zio Salomone di Samuele Lages il commento di David Qimhi a Ezechiele ed ai profeti minori.
\nNel 1467 Salomone di Baruch trascrisse una sezione del Mishné Torah di Maimonide.
\nNel 1477 Efraim di Nissim riprodusse per Mosè di Isac da Cesena il commento di Isac Arundi a Giobbe.
\nNel 1478 Samuele il Medico di Matatià de Mele Russo copiò due opere filosofiche di stampo maimonideo: le Retribuzioni dell’anima di Hillel da Verona e il De Substantia orbis di Averroè.
\nAncora nella seconda metà del secolo Salomone lo Scriba di Samuele Laghes riprodusse, molto probabilmente qui, per Shabbetai b. Mosè il commento di Rashi al Pentateuco[40].
\nNel 1494 Beniamino di R. Josef copiò, infine, il Ma’aseh Efod, una grammatica ebraica di Isac di Mosè Duran[41].
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Bibliografia
\nColafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti, Soveria Mannelli 1996.
\nColesanti, G.T., Documenti per la storia degli ebrei in Calabria nel secolo XV, in Lacerenza, G. (a cura di), Hebraica hereditas. Studi in onore di Cesare Colafemmina, Napoli 2005, pp. 27-32.
\nDito, O., La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, Cosenza 1967.
\nFerorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana al secolo XVIII, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.
\nFreimann, A., Jewish Scribes in Medieval Italy, in A. Marx Jubilee Volume. English Section, New York 1950, pp. 231-342.
\nPatroni Griffi, F., Ebrei e neofiti negli atti del notaio Benedetto De Arnone di Cosenza (sec. XVI), in Nicolaus. Rivista di Teologia ecumenico-patristica 22 (1995), pp. 225-236.
\nRizzo, T., Spigolature archivistiche sugli ebrei a Cosenza e nel Cosentino, in Sefer Yuhasin 18-19 (2002-2003).
\nSimonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
\nTamani, G., Manoscritti e libri, in L’ebraismo dell’Italia Meridionale, IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Potenza – Venosa, 20-24 settembre 1994), Galatina 1996, pp. 225-240.
\nVeronese, A., Una famiglia di banchieri ebrei tra XIV e XVI secolo: i da Volterra. Reti di credito nell´Italia del Rinascimento, Pisa 1998.
\nVivacqua, S., Calabria, in L’ebraismo dell’Italia Meridionale, IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Potenza – Venosa, 20-24 settembre 1994), Galatina 1996, pp. 295-310.
\n\n
[1] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 61; Vivacqua, S., Calabria, p. 297.
\n[2] Per le indicazioni sul documento si rimanda alla voce “Regina” della presente opera.
\n[3] Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, p. 44.
\n[4] Ferorelli, N., op. cit., pp. 70-71, p. 73; Vivacqua, S., op. cit., p. 298.
\n[5] Ferorelli, N., op. cit., p.71.
\n[6] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, I, doc. 501 e History p. 120.
\n[7] Ivi, p. 75.
\n[8] Si veda la voce “Bisignano” della presente opera.
\n[9] Cfr. la voce “Castrolibero” della presente opera. I tre ebrei, ai quali l’Università di Castrolibero voleva imporre una tassazione come se fossero stati lì residenti, ottennero dal Vicerè di pagare solo per i beni realmente posseduti nella località.
\n[10] Colesanti, G.T., Documenti per la storia degli ebrei in Calabria nel secolo XV, p.29 e documenti pp. 30-31.
\n[11] Ferorelli, N., op. cit., p. 167. Per il testo della disposizione si veda Colafemmina, C., op. cit., doc. 18 (pp. 112-113).
\n[12] Cfr. la voce “Rossano” della presente opera.
\n[13] Ferorelli, N., op. cit., p. 103.
\n[14] Colafemmina, C., op. cit., doc. 13 (p. 107-108).
\n[15] Ivi, p. 13.
\n[16] Vivacqua, S., op. cit. p. 308.
\n[17] Colafemmina, C., op. cit., doc. 51 (p. 138).
\n[18] Ivi, doc. 39 (pp. 129-130).
\n[19] Ferorelli, N., op. cit., pp. 200-205.
\n[20] Ivi, p. 91 e p. 205. Cfr. anche Vivacqua, S., op. cit. p. 299.
\n[21] Ivi, p. 210.
\n[22] Vivacqua, S., op. cit. p. 304. Il Ferorelli fa risalire l’obbligo ad una residenza separata, comprendente anche i negozi, già al 1504 (cfr. Ferorelli, N., op. cit., p. 212).
\n[23] Patroni Griffi, E., Ebrei negli atti del notaio Benedetto De Arnone di Cosenza (sec. XVI), pp. 225-236.
\n[24] Cfr. la voce “Torano” della presente opera.
\n[25] Per le dinamiche e l’iter che portarono al provvedimento di espulsione si veda Ferorelli, N., op. cit. p. 219 e segg.
\n[26] Vivacqua, S., op. cit. p. 310.
\n[27] L’importanza di tale fiera per gli ebrei è testimoniata anche dal fatto che essa viene esplicitamente citata nei capitoli del 1465 (cfr. Colafemmina, C., op. cit., pp. 11-12).
\n[28] Ferorelli, N., op. cit., p. 143. Cfr anche Colesanti, G.T., op. cit., p. 29; Vivacqua, S., op. cit., p. 307, che riporta però la data del 1453. Cfr., inoltre, la voce “Sessa” della presente opera.
\n[29] Ferorelli, N., op. cit., p. 140.
\n[30] Cfr. la voce “Corigliano Calabro” della presente opera.
\n[31] Colafemmina, C., op. cit., doc. 64 (p. 148).
\n[32] Veronese, A., Una famiglia di banchieri ebrei, pp. 135-139. Nel 1484 Lazzaro risultava creditore di Abramo da Bologna, il quale aveva a sua volta delle somme depositate nel banco di Mosè di C.: cfr. Colafemmina, C., op. cit., doc 14 (p. 111).
\n[33] Ferorelli, N., op. cit., p. 212.
\n[34] Vivacqua, S., op. cit., p. 307.
\n[35] Patroni Griffi, F., Ebrei e neofiti negli atti del notaio Benedetto De Arnone di Cosenza (sec. XVI), pp. 229-230, n. 9 (21 agosto 1509).
\n[36] Simonsohn, S., op. cit., V, doc. 2317.
\n[37] Ivi, doc. 2405.
\n[38] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 685 e History, p. 178. L’istanza fu accettata dalla Santa Sede.
\n[39] Vivacqua, S., op. cit., p. 306.
\n[40] Freimann, A., Jewish Scribes in Medieval Italy, p, 322, n. 480.
\n[41] Colafemmina, C., op. cit., pp. 24-25. Cfr. anche Tamani, G., Manoscritti e libri, p. 228.
\nMottafollone
\nProvincia di Cosenza. Insistendo su di un'area abitata già in epoca antica, M. sorse nell'XI secolo per impulso del monastero basiliano posto alle pendici della Mula. Proprietà dell'omonima famiglia Normanna, nel XIV secolo M. fu poi assegnata ai Sangineto, ai Sanseverino, agli Arcella, ai Pescara, ai Firrao, ai della Cava, ai Telesio e i Van den Eynden. Verso la metà del Settecento pervenne ai Carafa di Belvedere Marittimo, sotto cui rimase fino all’abolizione del feudalesimo. Comune del cantone di Acri ai tempi della Repubblica Partenopea, all’inizio del XIX secolo fu elevata a capoluogo dapprima di un governo e poi di un circondario. I Borbone, tornati a regnare, l’aggregarono a San Sosti, da cui fu separata solo nel 1843.
\nUna sicura attestazione dell’esistenza di un nucleo ebraico a M. si ha nel 1511, quando la Sommaria ordinò al Tesoriere provinciale di censire tutti gli ebrei e cristiani novelli, precedentemente residenti nella località, che se ne erano allontanati in forza del decreto di espulsione[1]. Nel 1513 la Sommaria dovette tornare sull’argomento, ordinando ora al Tesoriere di cancellare dalle liste delle tasse tre famiglie di neofiti che erano partite[2].
\nQueste, allo stato attuale della ricerca, le notizie a nostra disposizione sulla presenza ebraica nella località.
Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
Cittadina della provincia di Cosenza, sorge su un poggio nel versante occidentale del Vallo del Crati. Già Montalto, assunse la specificazione Uffugo nel 1863. Appartenne ai Ruffo, ai D’Aragona, agli Alvarez de Toledo. Nel 1443 era tassato per 494 fuochi fiscali. Già nel Medioevo vi si insediò una colonia di seguaci di Pietro Valdo, sicché la cittadina si componeva sino al XVI secolo di tre comunità: latini, o cattolici, ultramontani, o valdesi, ed ebrei.[1]
\nGli apparenti successi del proselitismo angioino nella seconda metà del XIII secolo avevano portato al disfacimento delle comunità ebraiche nel Mezzogiorno. Ma sotto il regno di Roberto il Saggio (1309-1343), molti neofiti ritornarono alla fede dei padri e ricostruirono le comunità, favoriti spesso dai feudatari locali. In Calabria ciò accadde in particolare nelle terre della contessa di Altomonte – che era allora Ilaria di Ruggero Sanseverino di Mileto (1347-1378 c.) – e nelle terre dei conti di Montalto, dove erano confluiti in gran numero ex neofiti e giudei. La regina Giovanna I. su incitamento di Urbano V, ordinò nel 1368 ai suoi ufficiali di collaborare con gli inquisitori per distruggere le nuove comunità e le loro sinagoghe, ma l’iniziativa fallì.[2] La presenza ebraica a Montalto, comunque, si era ben consolidata già da qualche decennio prima dell’intervento della regina Giovanna. Nel 1445, infatti, re Alfonso d’Aragona, su richiesta della comunità, confermò tutte le immunità, franchigie e privilegi che essa aveva ottenuto da papa Clemente VI (1342-1352), e dai feudatari di Montalto Giordano Ruffo (1327-1343), da suo figlio Carlo (1343-1375), da Antonio Ruffo (d. 1383) e da sua moglie Giovannella Sanseverino, da Carlo II Ruffo (d. 1414) e da Covella Ruffo, principessa di Rossano e duchessa di Montalto (1423, d. 1445).[3]
\nPapa Bonifacio IX nel 1402 nominò Angelo di Samuele, milite ebreo, giudice civile e criminale sugli ebrei a Montalto, Cosenza e Crotone, eccetto per quelle cause che i giudici cristiani per diritto o per consuetudine trattavano.[4]L’inusuale posizione di Angelo, come milite e giudice criminale, ha pochi paralleli tra gli ebrei d’Europa in quel tempo.[5]E’ probabile che fosse giustificata dalla particolare importanza delle tre comunità calabresi e dalla benevolenza con cui qualcuno aveva accompagnata la richiesta al papa. In epoca aragonese la comunità di Montalto aveva ancora un suo capitano con giurisdizione sui suoi ebrei. Nel 1491 la comunità presentò ricorso contro il capitanoe i baiuli della città, perché tentavano in vari modi di usurpare la giurisdizione del capitano della loro comunità. La Camera della Sommaria vietò alle autorità comunali di intromettersi in tale giurisdizione e ordinò di rispettare le esenzioni e le immunità che il re aveva concesso o confermato alla comunità ebraica.[6]
\nNel 1403 papa Bonifacio IX intervenne di nuovo a favore degli ebrei di Calabria, con una bolla in cui esentava gli ebrei della regione, e in particolare quelli di Montalto e di Tropea, dalla giurisdizione degli inquisitori, accogliendo le querele contro le loro rapacità che gli avevano fatto giungere gli ebrei locali e quelli immigrati dall'Aragona (vittime delle persecuzioni del 1391). I loro giudici competenti dovevano essere gli ordinari diocesani.[7]
\nIl periodo aragonese trascorse in buona parte senza fatti di particolare rilievo. Nel 1445, come si è visto, Alfonso I confermò tutti i privilegi concessi dai precedenti sovrani e signori alla comunità; nel 1452 lo stesso ordinò al Viceré di Calabria di osservare l'editto di remissione generale di qualsiasi crimine e delitto commessi nel passato dai Giudei anche a favore di Iesua Calcagno di Montalto.[8] Negli anni ’80 del XV secolo sorsero problemi, alcuni di ordine fiscale, altri nei rapporti con le autorità cittadine. Nel giugno 1485 la Camera della Sommaria ordinò di chiedere conto al tesoriere di Calabria della mancata esazione nell’anno della XIV indizione (settembre 1480-agosto 1481), di 12 ducati, 2 tarì e 5 grana dovuti dai giudei di Montalto a completamento della somma di 312 ducati e 5 grana che avrebbero dovuto versare quale loro rata di un contributo di 3.000 ducati imposto ai giudei di Calabria. Il residuo, comunque, risultò poi essere stato versato nello stesso anno 1485.[9] Il 1488 fu un anno più movimentato. Su ricorso della comunità, la Sommaria ordinò l’8 marzo al tesoriere che nella confezione dell’apprezzo dei beni e della distribuzione del carico fiscale partecipassero anche i rappresentanti della comunità. Un secondo ordine, in data 15 marzo, ingiunse di fare osservare a favore dei giudei di Montalto le immunità sui passi doganali e gli altri diritti concessi loro dal re. Il 9 giugno fu notificato al tesoriere di soprassedere all’esazione di un contributo straordinario imposto ai giudei di Montalto fino a quando non fosse arrivata la risposta del re ad alcuni memoriali che gli erano stati inviati sulla questione. Nel caso arrivasse l’ordine di procedere all’esazione, il tesoriere doveva concedere ai giudei due mesi di tempo per il pagamento a causa della loro povertà e dei danni provocati dalla guerra (la guerra d’Otranto del 1480-1, le congiure dei baroni del 1459.62 e del 1485-86). Poiché la comunità aveva anche denunciato di essere stata costretta a pagare all’esattore un salario di cinque carlini al giorno per il tempo in cui aveva svolto in essa il suo lavoro, la Sommaria gli ordinò di mettere tutto il denaro percepito a tale titolo in conto del contributo fiscale dovuto dai giudei.[10]Alcune di queste controversie erano ancora vive nel 1491,[11] altri problemi sorsero quest’anno, come il tentativo del capitano e dei baiuli del comune di usurpare la giurisdizione del capitano della comunità ebraica.[12]Inoltre, i fratelli Daniele e David Gezache, che esercitavano l’arte della spezieria, si lamentarono che le autorità li costringevano a esercitare l’ufficio, piuttosto odioso, di esattori delle imposte. La Sommaria accolse la loro querela e ordinò che tale ufficio fosse affidato a cristiani.[13]
\nNel 1492 esplose una querelle con l’esattore provinciale Teseo Anape che pretendeva di riscuotere a favore del fisco il donativo di 11 once, ossia di tre carlini a fuoco, che la comunità faceva ogni anno a Pascasio Diaz Garlon, conte di Alife, nominato da Ferrante I governatore di Montalto dopo che nel 1464 il pluriribelle feudatario Marino Marzano Ruffo era stato incarcerato a Napoli e la contea aggregata al regio demanio, almeno fino al 1486.[14] Questo donativo, in realtà, doveva coincidere con l’annuale tassa del casalinaggio, ossia sulle abitazioni o sui suoli su cui erano costruite, che gli ebrei di Montalto pagavano ai loro signori e che in origine era appunto di 11 once, le quali suddivise per tre carlini a fuoco, davano una comunità di 220 fuochi. A motivo dell’impoverimento causato dalle guerre, il conte di Alife, e poi il nuovo barone di Montalto,[15] ridussero la tassa alla somma di 44 ducati l’anno, riduzione che il tesoriere Teseo Anapa non volle riconoscere, ma che la Camera della Sommaria ribadì nel 1492 e nel 1494.[16]
\nLe controversie fiscali dovettero apparire una bazzecola con quello che accadde nel 1495, quando Carlo VIII di Francia invase il regno di Napoli. Il terrore causato dai francesi e dalle loro iniziative conversionistiche fu tale che tutti gli ebrei di Montalto accettarono il battesimo e divennero cristiani novelli. La singagoga fu trasformata in chiesa dedicata a Santa Maria e nel 1496 il chierico Bernardino de Fossato presentò al papa una petizione in cui chiedeva che in essa fosse eretto un beneficio ecclesiastico da dotare con i beni della ex sinagoga in modo da incrementare nella nuova chiesa il culto divino. I frutti annuali del beneficio erano previsti in 24 ducati d’oro. Il papa, che era Alessandro VI, ordinò di prendere informazioni sulla vita e i costumi del chierico e quindi di immetterlo nel possesso del beneficio.[17]
\nLa comunità ebraica, ossia la “Universitas Iudeorum”, si trasformò in “Universitas Neophitorum”, o “Università delle Christiani Novelli” e continuò a pagare i contributi fiscali separatamente dal resto della cittadinanza.[18] Suoi sindaci nel pagamento delle tasse furono negli anni 1502-3 i neofiti Carlo de Gaudio, Tommaso Bello, Giovan Tommaso de la Seta e Simone Orefice.[19]In questi anni Montalto fu coinvolta nella guerra scoppiata tra spagnoli e francesi per la conquista del regno di Napoli, che si erano spartiti con il trattato segreto di Granada (11 novembre 1500). Ai primi del 1503 i neofiti furono costretti a pagare la rata fiscale di Pasqua – 25 ducati - al tesoriere del re di Francia, dal quale ebbero anche la debita ricevuta, Ma quando di lì a poco prevalsero a Montalto le “felicissime bandiere” degli spagnoli, questi pretesero di nuovo il pagamento della somma. La città provò a chiedere comprensione al viceré Ferdinando di Cordova, che rispose demandando alla Camera della Sommaria di informarsi della cosa e di riferire.[20]
\nIl 23 novembre 1510 Ferdinando il Cattolico espulse dal regno di Napoli, di cui era divenuto sovrano, sia gli ebrei che i cristiani novelli, accordando loro quattro mesi di tempo per uscire dal regno. Quasi tutti i neofiti di Montalto partirono, e di essi le autorità locali chiesero la cancellazione dei loro nomi dai ruoli fiscali della popolazione locale. Questa nel 1509 risultava composta di 440 fuochi di latini, 102 di neofiti e 168 di ultramontani.[21] Prima di andare via, il 21 marzo 1511, i cristiani novelli fecero “dono” del 10 per cento dei loro beni mobili e stabili al duca di Montalto, Ferdinando d’Aragona, figlio naturale di Ferrante I. Con privilegio emesso il 28 ottobre 1511 il vicerè Raimondo Cardona concesse al duca alcune case e altre robe che i neofiti avevano lasciato nella città.[22]
\nQualche neofito riuscì, tergiversando, a restare sino al 1515, quando fu ribadito l’ordine di espulsione. Così il 25 marzo di quest’anno il neofito Giovanni Battista Romano, debitore di 69 ducati nei confronti di Loisio Garattono di Verona e di 79 ducati, 3 tarì e 3 grana nei confronti di Giacomo Arbino di Bergamo per l'acquisto di panni di lana, dovendo esulare dal regno, cedette ai loro procuratori, i nobili Sigismondo e Alfonso Caputo di Cosenza, i crediti che aveva presso alcuni suoi debitori.[23] Alcuni neofiti, adducendo prove di conversione sincera alla fede cattolica, ebbero il permesso di restare. Ma uno zelante frate domenicano che visitò la Calabria tra il 1654 e il 1659, rilevò che “in molti luoghi della provincia, e particolarmente a Montalto, trovasi un gran numero di famiglie che traggono discendenza da Giudei e comunemente vengono riputate segrete osservatrici della legge Mosaica”.[24]
\nBibliografia. S.G.Mercati, Calabria e calabresi in un manoscritto del XVII secolo (Dal Manoscritto Barberino Latino 5392), in Collectanea Byzantina (con introduzione e a cura di A. Longo, prefazione di G. Schirò, Bari 1970, II, pp. 694-724; N. Zeldes, “Universitas Neophitorum”. Legal aspects of the mass-conversion in Southern Italy and Sicily, in “Sefer Yuhasin” 24-25 (2008-2009), pp. 43-70.
\n[1] C. Nardi, Notizie di Montalto di Calabria, Roma 1954; M. Pellicano Castagna, Storia dei feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, III, Catanzaro Lido 1999, pp. 209-220.
\n[2] CDBr 2, 242-244, Doc. 94.
\n[3] Barcellona, ACA, Cancilleria 2906, fols. 79r-v.
\n[4] Simonsohn, Apostolic See, Doc. 501.
\n[5] Ivi, p. 547.
\n[6] ASNA, Sommaria, Partium 33, fol. 125v.
\n[7] Simonsohn, Apostolic See, Doc. 502.
\n[8] Mazzoleni, «Codice Chigi», pp. 193-195.
\n[9] ASNA, Sommaria, Petizioni dei relevi 7, fol. 60r.
\n[10] ASNA, Sommaria, Partium 29, fol. 4v; 12v; 30, 41v.
\n[11] Ib., 34, fol. 261v (19 ottobre 1491).
\n[12] Ib., 34, 33, fol. 125r (11 ottobre 1491).
\n[13] Ib., 33, fol. 110v (1 ottobre 1491).
\n[14] Pascasio Diaz Garlon fu dei giovani catalani che accompagnarono Alfonso I d’Aragona nella conquista del regno di Napoli. Fedelissimo di Ferrante I, fu suo regio consigliere e nel 1486 generale ricevitore della Regia Pecunia, ossia delle entrate fiscali. Nel 1483 fu investito della contea di Alife. Morì tra il 1498 e il 1503. Montalto fu concessa a un Matteo del Duca nel 1486, cf. Nardi, Notizie, I, p. 85.
\n[16] ASNA, Sommaria, Partium 34, fol. 261v (10 ottobre 1492); 38, fols. 60v-61r (7 ottobre 1494).
\n[17] Russo, Regesto Vaticano, III, 105-106, n. 13942; 126, n. 14138.
\n[18] Cf. Zeldes, “Universitas Neophitorum”, p. 66.
\n[19] ASNA, Tesorieri e percettori 3608.
\n[20] Nardi, Notizie, II, p. 511.
\n[21]Colafemmina, Per la storia, pp. 151-152, doc. 67; ASNA, Sommaria, Partium 79, 12v (17 luglio 1511), 80, fol. 39r-v.
\n[22] Nardi, Notizie, II, pp. 520-521. Si veda anche la pergamena di donazione del 31 marzo 1511: ib., p. 519.
\n[23] Patroni Griffi, Ebrei e neofiti, pp.234-235, n. 19.
\n[24] S.G.Mercati, Calabria e calabresi, pp. 721-22.
\nIn provincia di Cosenza, alle falde nord-orientali del monte Cocuzzo, il più elevato della Catena Paolana, digradanti verso la conca di Cosenza. Nel 1443 fu tassato per 99 fuochi.
\nIl 4 luglio 1508 Sabada Puglise e Masello de Mendicino, ebrei, ricevettero in Cosenza 130 ducati da Pietro Sersale per acquistare seta, da consegnare al prestatore entro quindici giorni; al momento in cui tale seta sarebbe stata venduta, avrebbero ricevuto metà del lucro[1].
\n[1] Patroni Griffi, Ebrei e neofiti, p. 228, n. 6.
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Castrovillari
\nProvincia di Cosenza. Sito in un’area abitata già in epoca paleolitica, il centro, che deve il proprio nome alla presenza di svariate villae romane (Castrum Villarum), fu dominato dal 1064 al 1189 dai Normanni, per poi passare agli Svevi a seguito del matrimonio di Costanza d’Altavilla e Arrigo VI. C. seguì così le sorti della casata sveva e andò agli Angioni all’indomani della battaglia di Benevento: essi la tennero sino alla conquista aragonese. Successivamente la città fu posta sotto il diretto controllo imperiale e infeudata agli Spinelli di Cariati, per poi andare ai Borbone nel 1700.
\nUna gruppo ebraico a C. è attestato certamente almeno dal 1276-1277, quando compare in un registro di tasse con 3 once, 19 tarì e 16 grani[1], mentre la Giudecca è esplicitamente menzionata in un atto del 1377, relativo ad una chiesa costruita al suo interno dal nobile Giovanni Greco [2].
\nIn pieno XV secolo la Comunità doveva essere abbastanza fiorente, come fanno supporre i registri della chiesa di San Giuliano, nei quali compaiono con una certa continuità dal 1450 al 1492 conferme dei pagamenti fatti per l’affitto di case (una delle quali adibita a sinagoga), vigne, giardini, campi, nonché un forno[3].
\nRappresentanti del nucleo ebraico locale erano nel 1466 Mosè Gazi e Abramuccio Russo, che in quell’anno conclusero con il nobile cosentino Nicola Antonio de Caroleis un accordo per l’affitto di un piccolo locale sito tra le mura della città e la Giudecca, al prezzo di 10 grani annui[4].
\nNel 1468 gli ebrei di C. ottennero uno speciale privilegio per prestare dal re Ferrante[5] e sappiamo che nel 1481 amministrava un banco qui Maestro Davide phisico di Tricarico[6].
\nNel 1483 Mosè Polito ottenne dal Comune il permesso di ampliare la propria abitazione, posta nel feudo di Scavello, vicino a quella degli eredi di tale Minach, a ridosso delle mura, avendo però cura di aggiungere dei merli al tetto e di aprire una porta, in corrispondenza del Portello de li iudei, fornita di una chiave che sarebbe stata consegnata al sindaco della città[7].
\nNel 1488 la Comunità fu tra quelle per cui la Sommaria ordinò al tesoriere provinciale di non esigere pagamenti ulteriori, dal momento che essa corrispondeva già la tassazione ordinaria (sali et fochi) e che partecipava al tributo straordinario di 6.000 ducati allora imposto[8].
\nNel 1491 decisero di trasferirsi a C. da Napoli i provenzali Vitale Cassi e Salomone Natan, suo cognato[9].
\nLa Sommaria si mosse nuovamente in favore del nucleo israelitico locale nel 1493, quando ingiunse al capitano di ritirare un bando da lui emesso e di permettere agli ebrei di proseguire le proprie attività economiche[10], e nel 1494, quando sottolineò che gli ebrei non dovevano essere sottoposti a tassazione, dal momento che avevano ottenuto un privilegio dal sovrano[11].
\nNel 1498 Lionetto Musitano da C. fu nominato dalla Corona giudice dei correligionari cittadini[12], mentre nel 1509 era attestata la presenza in loco di un israelita proveniente dalla penisola iberica, Maestro Mosè de Peres, che avendo preso in affitto una vigna in località Bagnano, dava in cambio un gioiello, delle perle e una cintura d’argento[13].
\nLa sinagoga di C. era ancora attestata nel 1510, quando un’ebrea, di nome Annucia de Santo, aveva fatto una donazione di 10 ducati in memoria del figlio, subito revocata alla scoperta che l’uomo era ancora vivo[14]. Nello stesso anno Maestro Josef Albufactzi era testimoniato in città all’atto di affittare una grande casa sita nel quartiere ebraico iuxta domum Sancti Iohannis Ierosolimitani muro comuni mediante, iuxta domum monasterii Sancti Francisci muro etiam comuni mediante, che egli aveva a sua volta in affitto dalla nobile Loysia de Pistoya, ad Antonuccio di Franco, al prezzo di 13 tarì annui[15].
\nAl 1511 risale, invece, la vicenda di Monna Lea, vedova di Sciabida Russo (detto anche de Regina) e madre di Raffaele e Gioia: ella si trovava allora in procinto di partire a seguito del decreto di espulsione e, dovendo risarcire vari debiti contratti per mantenere la famiglia, chiese ed ottenne di poter alienare l’unico bene rimastole nella situazione di indigenza in cui ormai versava, ovvero una casa posta nella Giudecca[16]. Anche Maestro Isac Levit si trovò nello stesso anno a vendere per 35 ducati a Maestro Calvano Greco la casa, sita nel quartiere ebraico (o di San Leonardo, come si dice nel documento) vicino all’abitazione del correligionario Mosè de Peres[17], il quale a sua volta, circa un mese dopo, vendette la propria ad Antonino Pittari per 300 tomoli di grano e mezza canna di velluto nero calabrese[18]. Contemporaneamente alcuni iniziarono a disfarsi anche degli appezzamenti di terreno, come testimoniato dalla vendita operata dall’ebrea Rael, detta Ribiczi, che, con il consenso dei fratelli Abramo e Midu, dette al nobile Battista Targiano una proprietà con vigne, alberi e olivi, sita in località Fabrice, per 21 ducati[19].
\nGli ebrei decisero, infine, di donare, andandosene, la sinagoga al Comune, con la promessa di poterla riavere allorquando fossero tornati[20] e nel 1512 la Sommaria dette ordine al tesoriere di rimuovere dai ruoli fiscali di C. 2 famiglie di cristiani novelli (quelle di Berardino Ingravera e Giancarlo de Gaeta) e 7 di ebrei (Iosep Abufaczia, Midu dello Rebbi, Habraham dello Rebbi, Moyses de Peres, Isac Levit de Annucz, Baruc Sacerdoto, Salamon Cucubrelli, Laczaro Habeo e Sciabuczo de Levi de Altomonte) dal momento che tutti si erano ormai allontanati[21].
\nUn decennio dopo, però, gli israeliti erano già rientrati a C. e conducevano nuovamente case (sinagoga compresa) e terreni in affitto dalla chiesa di San Giuliano, come testimoniano una serie di registrazioni degli introiti della chiesa stessa per il periodo 1521-1539[22].
\nNel 1525 la Sommaria, sollecitata dai proti degli ebrei del Regno, si era intanto pronunciata affinché il duca di C. non ponesse ostacoli alla raccolta delle tasse in città[23], dove nel 1532 era attestata anche la presenza della famiglia Campigno (il figlio Davide, alias Raffaele, ed il padre Jacob, ormai vedovo di Preziosa)[24].
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Bibliografia
\nColafemmina, C., The Jews in Calabria, Leiden-Boston 2012.
\nFerorelli, N., Gli ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana al secolo XVIII, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.
\nRizzo, T., Gli ebrei a Castrovillari tra il XV e il XV secolo, in Sefer Yuhasin 16-17 (2000-2001), pp. 47-55.
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[1] Colafemmina, C., The Jews in Calabria, doc. 24 e 27. Cfr anche Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 72.
\n[2] Colafemmina, C., op. cit., doc. 69. La Giudecca e la chiesa, intitolata a Santa Caterina, ritornano in un atto dell’anno successivo (doc. 71).
\n[3] Colafemmina, C., op. cit., doc. 126. Ancora nel 1505 gli ebrei avevano proprietà in affitto da questa Chiesa (doc. 426)
\n[4] Ivi, doc. 163. Cfr. anche Rizzo, T., Ebrei a Castrovillari, p. 54.
\n[5] Colafemmina, C., op. cit., doc. 169.
\n[6] Ivi, doc. 195. Cfr. anche Ferorelli, N., op. cit., p. 146.
\n[7] Ivi, doc. 204.
\n[8] Ivi, doc. 242. L’ordine fu poi ripetuto nel 1489, quando sappiamo che la Comunità pagava i tributi ordinari per Natale, Pasqua e in Agosto (doc. 249). Cfr. anche Ferorelli, N., op. cit., p. 171. Negli anni 1480, 1488, 1489 e 1493, inoltre, si verificarono dispute tra gli ebrei ed il Comune sempre in materia fiscale.
\n[9] Ferorelli, N., op. cit., p. 92.
\n[10] Colafemmina, C., op. cit., doc. 307. Vedi anche Ferorelli, N., op. cit., p. 193
\n[11] Colafemmina, C., op. cit., doc. 366.
\n[12] Ivi, doc. 394.
\n[13] Ivi, doc. 461. Cfr. anche Rizzo, T., op. cit, pp. 48-49.
\n[14] Colafemmina, C., op. cit., doc. 464.
\n[15] Ivi, doc. 478. Cfr. anche Rizzo, T., op. cit, p. 49.
\n[16] Colafemmina, C., op. cit., doc. 482. Cfr. anche Rizzo, T., op. cit., p. 50.
\n[17] Colafemmina, C., op. cit., doc. 486. Cfr. anche Rizzo, T., op. cit., p. 50. Per la denominazione San Leonardo vedi anche il doc. 572.
\n[18] Colafemmina, C., op. cit., doc. 490.
\n[19] Colafemmina, C., op. cit., doc. 491. Cfr. anche Rizzo, T., op. cit., p. 51. Anche il già ricordato Mosè de Peres vendette nel 1511 un pezzo di terra con vigna (doc. 493).
\n[20] Colafemmina, C., op. cit., doc. 492. Ferorelli, N. op. cit., p. 214.
\n[21] Colafemmina, C., op. cit., doc. 518.
\n[22] Ivi, doc. 552 e doc. 561.
\n[23] Ivi, doc. 560.
\n[24] Colafemmina, C., op. cit., doc. 571. Cfr. anche Rizzo, T., op. cit., p. 52.
\nProvincia di Cosenza. Posto su di uno sperone roccioso dominante il Tirreno ha un toponimo che, nella forma dialettale Santu Lùcitu, è una variazione del nome medievale Santu Nicitu, dall’agionimo Sant’Aniceto. Dal 1093 al 1494 appartenne alla Mensa Vescovile di Cosenza e dal 1494 al 1604 fu un feudo della famiglia Carafa. Nel 1443 era tassato per 300 fuochi e nel 1521 per 360.[1]
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Una comunità ebraica è documentata a qui nel XV secolo, ma già nel secolo precedente c’erano ebrei che caricavano nel porticciolo della cittadina i rinomati vini e la frutta del suo erto entroterra e della regione cosentina. Il giudeo Xico de Mariffa, per esempio, il 14 aprile 1351 pagò al doganiere di Cagliari 47 lire di diritti doganali per 925 lire di vino rosso e di frutta che aveva portato da S.[2].
\nNel 1488 abitavano a in questa località i fratelli Sabato e Simone del fu Mosè de Giosuè, i quali erano in lite con la comunità di Rende, da cui provenivano, perché voleva obbligarli a pagare i contributi fiscali per fuochi e sale con essa. Presentato ricorso presso la Camera della Sommaria, questa diede loro ragione, avendo essi fissato il loro domicilio e preso moglie a San L., dando così origine a due nuovi fuochi familiari distinti da quello originale di Rende, di cui erede e titolare era diventato un loro fratello di nome Baruch. Nella controversia entrò anche il comune di Rende, allegando che i due erano stati annoverati con la sua popolazione nell’ultimo censimento. La Sommaria confermò invece nel 1492 il suo primo intervento, concedendo che i due fratelli pagassero in Rende le tasse solo per i beni che eventualmente vi possedessero[3].
\nA Tropea o a S., a loro scelta, chiesero il 16 ottobre 1492 di essere portate alcune famiglie della comunità di Bivona, in Sicilia, costrette a lasciare l’isola in forza del decreto di espulsione emanato da Ferdinando il Cattolico. Il gruppo era composto da circa quaranta persone e la nave su cui avrebbero fatto la traversata apparteneva a Nicola Bonfiglio di Lipari.[4] L’arrivo di profughi dalla Sicilia ravvivò di certo l’osservanza ebraica nella cittadina: il 26 novembre 1492, infatti, su richiesta della comunità, la Camera della Sommaria ordinò al mastro giurato di osservare il capitolo concesso dal re ai giudei del Regno di potere circolare liberamente senza portare fuoco o lume la notte del sabato e delle altre loro feste. Nel caso però che si fosse trovato un giudeo che andava senza lume in un’ altra notte, doveva essere arrestato e consegnato al capitano preposto ai giudei di S. dal tesoriere provinciale, perché fosse giudicato. Il giorno seguente, la stessa Camera ordinò al capitano della città di provvedere affinché gli israeliti non fossero in alcun modo ostacolati o molestati nel loro progetto di ampliare la sinagoga. Nella lettera è riportato in inserto il capitolo con cui il re garantiva ai giudei del Regno la libertà di reggersi secondo la loro disciplina e la liceità di avere sinagoghe[5].
\nL’integrazione dei nuovi arrivati, comunque, non dovette essere facile. Nel dicembre 1493, infatti, essi lamentarono di essere tassati più del dovuto e il commissario preposto loro, Bartolomeo Bosco, ricevette l’ordinedi esigere i contributi fiscali in base alle facoltà che realmente possedevano e non in quantità maggiore. La Camera ricordò al commissario di «non essere stato inviato a distruggere quei poveri giudei, ben sapendo quanti danni e perdite hanno subito». Gli ebrei siciliani, tuttavia, non si sentirono tutelati e inviarono un’altra petizione, a cui la Sommaria rispose con l’ingiunzione all’autorità di far cessare ogni disordine e contrasto[6].
\nInsieme a quello delle tasse, altri problemi assillavano i profughi di S.: Sadich Azeni, giudeo siciliano abitante a Napoli, aveva denunciato nel 1494 che, essendosi recato qui per affari, i correligionari lo avevano subito annoverato con la loro comunità e lo avevano costretto a versare 5 ducati quale rata del contributo fiscale da essi dovuto. La Camera della Sommaria ordinò al capitano di locale di obbligare i giudei a restituire i 5 ducati, o altri pegni eventualmente estorti, e a non molestare più il ricorrente, essendo egli tassato a Napoli, dove abitava con la famiglia e soddisfaceva ai propri obblighi[7]. Nell’aprile dello stesso anno, poi, Nissim Caruso aveva denunciato che, avendo egli una controversia con Scribicti Suene e con Perna, moglie di Monte de Milac, a motivo di una certa società costituita tra loro, il capitano di S. voleva sentenziare senza ascoltare le sue ragioni. Un’altra vertenza opponeva, invece, Criscio de Canetto ai correligionari mastro David de Azeni ed al fratello di questi. In ambedue i casi la Sommaria ordinò al capitano di ascoltare le parti e di porre fine alle controversie con una giusta sentenza[8].
\nDopo la morte di Ferrante I nel gennaio 1494, Carlo VIII di Francia si accinse a conquistare il regno di Napoli. La notizia della progettata invasione provocò un po’ dappertutto manifestazioni di violenza nei confronti degli ebrei ed anche a S. essi sporsero denuncia presso la Camera della Sommaria, la quale, in data 7 luglio 1494, scrisse al capitano cittadino di provvedere affinché ai ricorrenti non fossero fatti insulti e villanie, perché era volontà del re – che adesso era Alfonso II - che nel suo regno ognuno vivesse quietamente senza recare ingiuria agli altri. Tanto più ciò doveva valere nei confronti degli ebrei, che stavano sotto la protezione dei privilegi concessi loro dal sovrano: tale volontà doveva essere proclamata mediante pubblici bandi e i delinquenti dovevano essere puniti[9].
\nQuesta è l’ultima notizia che per ora si conosce sulla comunità ebraica di S.
\nNel 1510 gli ebrei ed i cristiani novelli dovettero uscire dal regno di Napoli per volontà di Ferdinando il Cattolico: i cristiani novelli di Crotone, città del basso Ionio, tergiversarono, ma il 15 aprile 1515 fu rinnovato l’ordine di espulsione, con la facoltà di partire da qualsiasi porto della Calabria o, nel caso avessero preferito lasciare la città via terra, in direzione del mar Tirreno e quindi della Sicilia o dei domìni pontifici, di recarsi per l’imbarco a S. o ad Amantea[10].
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[1] Martirano, F., S. Niceto nella Calabria Medievale. Storia, architettura, tecniche edilizie, Roma 2002.
\n[2] Tasca, C., Ebrei in Sardegna, pp. 324-325, n. CXX.
\n[3] Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, pp. 115-116, doc. 21.
\n[4] Marrone, Ebrei e giudaismo, pp. 47-48.
\n[5] Cfr. Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 101-102.
\n[6] Ibid., pp. 93-94; Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, p. 129, doc. 38 (21 gennaio 1494).
\n[7] ASNa, Sommaria, Partium 40, fol. 12v.
\n[8] ASNa, Sommaria, Partium 40, fol. 141r. 182r. Un intervento analogo a favore di un Donato de Canet ebbe luogo il 7 luglio 1494: ib., 39, fol. 168v.
\n[9]ASNa, Sommaria, Partium 39, fol. 166r ; Ferrante, Gli Statuti, pp. 175-176.
\n[10] ASNa, Collaterale, Partium 12, fol. 92r-v.
\nRossano (רוסנו)
\nProvincia di Cosenza. Centro del versante settentrionale della Sila Greca, sorge su di una rupe arenacea dalla quale domina lo Ionio e la sottostante pianura litoranea. Sotto i bizantini conseguì importanza e splendore. Fu dei Marzano (1445-1464), degli Sforza (1487-1499), della famiglia reale d’Aragona (1499-1524) e di nuovo degli Sforza (1524-1558). Città arcivescovile, nel 1443 era tassato per 800 fuochi, nel 1532 per 1191[1].
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Nel X secolo è attestata a R. una notevole comunità ebraica, nella quale visse e operò Donnolo Shabbetai di Oria, la più importante figura dell’ebraismo dell’Italia meridionale. Medico, filosofo, mistico, astronomo, egli si impose con la sua ricca personalità anche ai cristiani, come testimonia la Vita di S. Nilo (910-1004), il monaco rossanese suo contemporaneo fondatore dell’abbazia greca di Grottaferrata.
\nSucceduti nell’XI secolo i normanni ai bizantini, gli ebrei furono sottoposti al nuovo regime feudale. Tra il 1093 e il 1094 Adelaide, moglie di Ruggero I, donò al vescovo di R. le decime sui giudei della città e tre di essi, figli di un Samuele, detti Cacoctenisti. Le donazioni furono confermate nel 1226 da Federico II di Svevia[2].
\nNel 1276 – siamo ora sotto gli angioini - gli ebrei di R. dovevano contribuire alla tassazione generale per 5 once, 16 tarì e 16 grani, mentre i cristiani della città e dei casali per 174 once e 21 tarì. Tra il 1311 e il 1324 gli israeliti denunciarono diversi casi di angherie e soprusi perpetrati nei loro confronti da persone rivestite di autorità (mastri giurati, baiuli, cursori, giudici, notai locali e della Regia Curia). Nel 1324 essi ottennero, comunque, dall’autorità regia di potere restaurare la sinagoga, che forse si era deteriorata negli ultimi decenni del XIII secolo, quando imperversava il proselitismo cattolico.
\nNel 1370 tra le malefatte attribuite a Dorosio, archimandrita del monastero greco di S. Maria del Patir, ci fu anche quella di avere impegnato calici, croci d’argento e altre suppellettili ecclesiastiche ad un giudeo[3].
\nLe notizie per l’età aragonese iniziano con Mosè de Barono di R. in lite con Samuel Catalano di Rende a causa di una fideiussione non mantenuta (1451) e con la concessione dei diritti sulla tintoria dei giudei al rossanese Petruccio Malino e ai suoi eredi (1456-58). In seguito la documentazione verterà per lo più su questioni fiscali: nel 1473, ad esempio, la comunità lamentò di essere stata tassata più del dovuto a favore di quelle di Cosenza e di altre terre di Calabria per colpa dei correligionari cosentini incaricati di fissare l’onere fiscale dei giudei della provincia. Un aggravio indebito di tasse relativo ai beni e al bestiame che possedeva denunciò nel 1478 Macerdò (Mazaltov) detto Ventura e nel 1489 gli ebrei di R. e di altre luoghi furono esentati dal pagamento di contributi straordinari. Nel 1494 Simone di Dio ricorse, poi, contro il capitano che voleva costringerlo a dare all’olio un prezzo diverso, a seconda che si trattasse di creditori o di debitori: la Camera della Sommaria ordinò al capitano di non essere fazioso e di procedere con lui secondo giustizia.[4]
\nLa condizione degli ebrei nell’Italia meridionale divenne critica sotto il dominio spagnolo, che detronizzò nel 1503 quello aragonese. E quando nel novembre 1510 Ferdinando il Cattolico bandì l’espulsione dei giudei e dei neofiti dal regno di Napoli, cinque famiglie ebraiche di R. erano già espatriate da qualche tempo a Valona. Il resto degli israeliti e dei cristiani novelli partì entro il termine fissato dal sovrano e le autorità di R. ottennero che i loro nomi fossero tolti dal novero dei contribuenti. Solo al neofita Ioan Iacobo de Russo fu permesso di rimanere fino a quando sua moglie, che era molto malata, si fosse ristabilita e tale licenza fu reiterata nel 1515.
\nA R., dove la città declina verso oriente, il toponimo Giudecca indica oggiuna via breve che lascia l’abitato per scendere solitaria, attraverso i resti di una porta, in un vallone. Il rione fu il più fieramente offeso e sconvolto dalla scossa tellurica del 25 aprile 1836[5].
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\n[1]Gradilone, A., Storia di Rossano, Cosenza 1967; Pellicano Castagna, M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, IV, pp. 317-324.
\n[2]Ughelli, F., Italia sacra, Venezia 1717-1722, IX, 298-299; Dito, O., La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria, Cosenza 1916, pp. 62-64, 95-96.
\n[3]Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 59-60, 63; Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, vol. 8, pp. 11-13, Add. 13.
\n[4] Fonti aragonesi, II, pp. 110-113, doc. 19; ASNa, Sommaria, Diversi I, 10, f. 14r; C. Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, Saggi e documenti, pp. 26, 98, 101-102, 117-118,
\n[5]Rossi, A.A., De’ tremuoti della Calabria Citeriore, p. 17.
\nProvincia di Cosenza. Sita su di un poggio a dominio della media valle del fiume Crati, appartenne in feudo a varie famiglie, tra cui i Sanseverino[1]. Nel 1443 era tassata per 184 fuochi e nel 1494 per 266.
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Su ricorso di Paris Zagada, giudeo di Cosenza, la Camera della Sommaria ordinò al capitano di R. di esaminare a norma di diritto e secondo il costume i testimoni che il ricorrente avesse voluto produrre nella causa riguardante i suoi obblighi fiscali in quanto erede del defunto Ruben Zagada. L’ordine della Sommaria fu inviato il 3 febbraio 1494[2].
\nÈ probabile che fosse originario della cittadina il neofita Thomas de le Rose, abitante a Rende nel 1517[3].
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[1]Cfr. Pellicano Castagna, M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, IV, pp. 306-308.
\n[2]Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti, pp. 129-130, doc. 39.
\n[3] Rizzo, T., Spigolature archivistiche sugli ebrei a Cosenza e nel Cosentino, p. 36.
\nRende ( רינדא)
\nProvincia di Cosenza. Il nucleo antico sorge su di un colle che si leva tra le valli dei torrenti Surdo ed Emoli, a una decina di km dal capoluogo. Fu contea degli Adorno (1445-1532) e marchesato degli Alarçon Mendoza della Valle fino al 1806[1]. Nel 1443 era tassata, insieme ai suoi casali, per 324 fuochi e nel 1532 per 571.
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Di un antico banco di prestito, la cui esistenza risalirebbe almeno agli anni intorno al 1420, si ha notizia da un documento del 1451. Nell’agosto di quell’anno, infatti, Alfonso d’Aragona ordinò al capitano di R. di fare restituire all’ebreo Samuele Catalano di quella terra i beni sequestratigli a richiesta di Moise da Barono di Rossano per una vertenza che quest’ultimo aveva cominciato con il fratello Zaga da oltre trent’anni a causa di mercanzie, argento e altre robe ricevute in pegno e della cui soluzione Samuele si era fatto fideiussore[2]. Due altre controversie sono, poi, documentate nel 1454: la prima era partita da una denuncia del banchiere cosentino Antonio de Beccuti contro Davide di R. per la mancata solvenza di alcuni prestiti per un totale di 270 ducati e si concluse con un comune accordo tra le parti, mentre la seconda vide come attore lo stesso banchiere contro un altro ebreo di R., Mosè Spataro, per un debito contratto con il padre di Antonio, Urbano, per un totale di cinque libbra di seta (il banchiere reclamava anche il resto di un altro debito per la vendita di due canne di panni veronesi)[3].
\nNel 1489 la comunità di R., insieme alle altre della regione, presentò ricorso nei confronti del tesoriere di Calabria, Vincilao de Campitello, che pretendeva di costringere anche gli ebrei a contribuire ad alcuni pagamenti straordinari. La Camera della Sommaria accolse il ricorso e ordinò al tesoriere di esimerli da tali contributi, pagando già essi, oltre le tasse ordinarie, anche la loro quota del contributo straordinario di 6.000 ducati imposto agli ebrei del Regno. Un altro intervento a loro favore lo ottennero anche nel dicembre 1494, quando la Sommaria ordinò all’esattore Leonardo de Marco di chiedere per le spese connesse con il proprio incarico solo 3 carlini al giorno, e non i 5 che egli pretendeva[4].
\nCome di costume, gli ebrei di R. non mancavano di interessi culturali. Nel 1483 Salomone lo Scriba b. Samuele Laghes vi copiò per il figlio Samuele il commento di Isaia da Trani il Giovane al trattato mishnico Hullin, e sempre qui, o nella vicina Cosenza, lo stesso copista riprodusse per Shabbetai b. Mosè il commento di Rashi al Pentateuco[5].
\nNel 1511 gli ebrei e i cristiani novelli che abitavano a R. dovettero esulare, in forza delle prammatiche di espulsione emanate da Ferdinando il Cattolico, nuovo sovrano del regno di Napoli, e le autorità locali si affrettarono a chiederne la cancellazione dai ruoli fiscali. La richiesta fu accolta, previo accertamento da parte dell’esattore provinciale della loro effettiva partenza[6].
\nGli ebrei lasciarono di certo R., ma è dubbio che lo abbiano fatto i cristiani novelli. Perché gli atti notarili attestano, tra il 1517 e il 1532, numerosi neofiti abitanti in questa località e proprietari di case e di terre. Alcuni di loro avevano l’abitazione nell’antico quartiere ebraico, la Judeca, sito a ridosso delle mura, come il neofita Francesco Spagnolo, il quale possedeva anche tre casupole dirùte in Arcavàcata, casale di R., che nel 1532 vendette per 6 ducati al convertito Giovanni Battista Cristiano[7].
\nIl nome del quartiere dove abitavano gli ebrei è ancora vivo a R. nella tradizione locale e per lungo tempo lo è stato anche ufficialmente nello stradario con il toponimo Via Giudecca, che, intorno al 1986, fu cambiato in Via C. Battisti.
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[1]Fonte, F., Rende nella sua cronistoria, Chiaravalle Centrale 1976; Pellicano Castagna, M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, IV, pp. 201-212.
\n[2] Fonti aragonesi, II, a cura di E. Pontieri, Napoli 1961, pp. 110-113, n. 19.
\n[3] ASNa, Sommaria, Dipendenze I, vol. 631, foll. 2, 44.
\n[4]Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti, pp. 117-118, doc. 23; p. 144, doc. 60.
\n[5] Freimann, A., Jewish Scribes in Medieval Italy, p, 322, n. 480.
\n[6] Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, p. 156, doc. 73 ( 9 febbraio 1512).
\n[7] Cfr. Rizzo, T., Spigolature archivistiche sugli ebrei a Cosenza e nel Cosentino, pp. 36-37.
\nProvincia di Cosenza. Borgo situato su di uno sperone, alla falde della Serra Pantanolata, nel Basso Medioevo era chiamato anche La Regina e La Reina efu nel XV secolo dei Sanseverino di Bisignano e dal 1592 dei Pignatelli di Cerchiara.
\nOggi è frazione del comune di Lattarico[1]. Nel 1443 era tassata per 83 fuochi, nel 1494 per 224.
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La presenza ebraica a R. aveva radici assai antiche. Nel registro fiscale del 1268-69 essa era conteggiata per quattro fuochi, ma il numero doveva essere maggiore (gli ebrei di Cosenza erano tassati nello stesso registro per otto fuochi)[2].
\nNon si hanno per ora notizie sulle vicende degli ebrei di R. quando imperversò il proselitismo angioino, alla fine del XIII secolo, ma è probabile che anche nella località ci siano state conversioni al cristianesimo.
\nLe notizie sugli israeliti riprendono nell’età aragonese: nel 1488 la comunità ricorse contro il tesoriere provinciale che voleva costringerla al pagamento di contributi straordinari, probabilmente per il rafforzamento delle mura. La Camera della Sommaria accolse il ricorso e in data 6 agosto 1488 ordinò al tesoriere di non costringere gli ebrei ad alcun pagamento straordinario, pagando già essi le tasse ordinarie (sali e fuochi) e la loro parte del contributo straordinario di 6.000 ducati imposto ai giudei del Regno. L’ordine fu rinnovato l’anno seguente, non avendo il tesoriere obbedito, e nel 1493 ci fu un altro tentativo di imporre alla comunità tasse indebite, ma anche questa volta la Sommaria intervenne a suo favore. Forse riguardava materia fiscale anche il memoriale presentato dall’ebreo Saul Profeta: da notare che oltre alle tasse dovute allo stato, gli ebrei di R. pagavano al signore del luogo, il principe di Bisignano, 6 tarì l’anno per il casalinaggio, una specie di fitto sulle case o sui loro suoli[3].
\nL’espulsione generale ordinata nel 1510 da Ferdinando il Cattolico, coinvolse anche i cristiani novelli di R.: essi lasciarono la località e le autorità si affrettarono a chiederne la cancellazione dai ruoli fiscali. La Camera della Sommaria accolse la richiesta e nel dicembre 1511 ordinò al tesoriere di Calabria Citra di inviare diligenti informazioni sul numero degli esuli e sulla data in cui erano partiti. Nel 1518 la stessa Camera ripetè la richiesta di informazioni per i cristiani novelliAlfonso Catalano e Pietosa, o Carmosina, de Mastrangelo, mentre per il neofita Salvatore de La Regina, abitante nella vicina Cosenza, l’espulsione era stata sospesa nel 1515 avendo egli affermato di essere sposato da tempo con una donna di ceppo cristiano antico[4].
\nÈ certamente ascrivibile a R. una ketubbah calabrese, datata 13 Av 5217 (= 3 agosto 1457)[5], conservata nella British Library di Londra. La pergamena è mutila sul lato sinistro, che il rilegatore ritagliò secondo i suoi bisogni. Della data topica rimangono le lettere LRyy...(...לריי), che conducono a La Reina, una variante medievale, come si è detto, del nome di R. L’individuazione è confermata dall’appartenenza all’area linguistica della Calabria centrale dei nomi degli elementi dotali in volgare traslitterati in ebraico nel documento. Il nome della sposa era Peninah figlia di Mar Iosef, mentre quello dello sposo si è perduto nella recisione della pergamena, ma sappiamo che era figlio di uno Shlomo.
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\n[1]Pellicano Castagna, M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, IV, pp. 197-200.
\n[2] RCA II, p. 223. Si veda anche, per il 1277: RCA XVII, 57-58, n. 101.
\n[3] Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, pp. 116-118, 128-129; ASNa, Sommaria, Partium 40, fol. 201v; Diversi II 69.
\n[4]Colafemmina, C., I “cristiani novelli”, pp. 861-864; ASNa, Collaterale, Partium 12, fol. 104r-v.
\n[5] Or. 12376 b. La trascrizione dell’intero documento si deve alla generosa cortesia del prof. Shlomo Simonsohn, che qui si ringrazia di cuore.
\nProvincia di Cosenza. Posto sul versante tirrenico della Catena Paolana, il centro aveva la parte più antica in alto, addossata ad un castello diruto. Fu dei Ruffo di Montalto e, dal 1496, degli Spinelli di Castrovillari[1]. Nel 1443 era tassata per 185 fuochi.
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Il 3 settembre 1436 Chamuni, giudeo di P. in Calabria, acquistò in Palermo da Antonio Tinirello cuoio bovino del valore di quattro once[2].
\nNella cittadina nacque nel 1416 S. Francesco da P., fondatore dell’Ordine dei Minimi, caratterizzato da una austera disciplina alimentare, come l’astinenza perpetua dalle carni e da tutto ciò che ne deriva, uova, latte, formaggi e latticini: alcuni studiosi lo vogliono di stirpe ebraica, ma gli argomenti finora addotti sono assai labili[3].
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[1]Pellicano Castagna, M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, IV, pp. 30-34.
\n[2] Simonsohn, S., The Jews in Sicily, vol. 10, p. 6294.
\n[3] Cfr. Dito, O., La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XV, pp. 273-274.
\nProvincia di Cosenza. Situata su di un poggio dirupato del versante occidentale della Catena Paolana, ebbe come primo feudatario noto Simone Mammistra, Giustiziere di Calabria nel 1199. Nel secolo XV fu dei Sanseverino di Bisignano, che la tennero, salvo un breve periodo in cui fu dei Cardona, sino al 1521, e infine degli Alarçon Mendoza[1]. Nel 1443 fu tassata, insieme al casale Longobardi, per 302 fuochi e nel 1532 per 502.
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Il 7 ottobre 1534 don Pedro Gonzales de Mendoza, viceré di Calabria e feudatario di F., impose agli ufficiali e all’Università il rispetto dei capitoli conclusi con l’ebreo David Gattegno[2]. Con essi il Gattegno assicurava a sé e agli altri ebrei che fossero venuti ad abitare qui il libero approvvigionamento di derrate alimentari e di ogni altro genere di mercanzia, la tutela da indebite vessazioni e angherie, sia di natura economica sia di natura giudiziaria, e la libertà di spostamento.
\nSotto il profilo religioso, i capitoli garantivano la libertà di raduno e di culto all’interno di una abitazione e quella di sepoltura in un luogo apposito. Quest’ultima richiesta era rafforzata dal richiamo alle consuetudini praticate dagli ebrei che avevano dimorato nel passato a F.
\nDavid Gattegno, che sottoscrisse la convenzione, apparteneva ad una famiglia ebraica di origine catalana da tempo residente a Roma. Nel 1517 era stato imprigionato ad Amantea, insieme al fratello Samuel, con l’accusa di essersi appropriato di alcune pezze di seta. Sulla loro onorabilità testimoniarono a Roma, dinanzi al giudice palatino Antonio da Cortona, numerosi mercanti e artigiani che erano stati in rapporti d’affari con i due.
\nI capitoli di F. sarebbero poi serviti da base per la stesura della convenzione tra l’ebreo calabrese Samuel detto Simone Cuscio e gli Orsini per l’apertura nel 1543 di un banco di prestito a Sacrofano[3].
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Bibliografia
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Esposito, A., La doppia vita di un documento. I capitoli per gli ebrei di Fiumefreddo Bruzio (1534) riutilizzati per Sacrofano di Roma (1543 ?), in Atti del IX Congresso internazionale dell’Associazione Italiana per lo studio del Giudaismo(Potenza-Venosa, 20-24 settembre 1992), a cura di Fonseca, C.D. - Luzzati, M. - Tamani, G. - Colafemmina, C., Galatina 1996.
\nPellicano Castagna, M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, Catanzaro Lido 1996.
\nSimonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
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[1]Pellicano Castagna, M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, II, pp. 243-245.
\n[2]Esposito, A., La doppia vita di un documento. I capitoli per gli ebrei di Fiumefreddo Bruzio (1534) riutilizzati per Sacrofano di Roma (1543 ?), pp. 241-248.
\n[3]Esposito, A., La doppia vita di un documento, pp. 245-246; Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, p., 2346, n. 2239.
\nProvincia di Cosenza. C. sorge su di un poggio, estrema propaggine della Sila Greca, alla destra dello sbocco del torrente Coriglianeto nella Piana di Sibari, e si ritiene fondato agli inizi dell’XI secolo. Fu feudo dei Sangineto, dei Sanseverino, dei Ruffo di Montalto e dei Sanseverino di Bisignano[1]. Nel 1443 era tassato per 391 fuochi e nel 1521 per 588.
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Nel 1473 la Camera della Sommaria ordinò al percettore provinciale di esigere da C. i contributi fiscali per 537 fuochi e non per 560, essendo risultato che 23 fuochi erano stati censiti per errore due volte. Dei fuochi duplicati, di cui è fornito l'elenco, almeno tre erano ebrei: Iogoda de Mose, Moyse de Roben e Monasse de Iaculli. Nel 1489 gli ebrei di C. ottennero di non essere costretti al pagamento di contributi straordinari, pagando già essi le tasse ordinarie e la loro quota del contributo di 6000 ducati imposto da Ferrante I d’Aragona ai giudei del Regno. Un’analoga esenzione fu loro riconosciuta nel 1491 a proposito della tassa straordinaria imposta agli abitanti della città per la riparazione del castello. I nuclei familiari ebraici erano allora 37, alcuni dei quali provenienti da altre località, come quelli di Anania de Cariato, Harya de Mesoraca, Sperduto de Reggio, Iaco de Altomonte, Daniel de Bisignano, Scilom de Melicello e Cay de Terranova. Oltre alle tasse ordinarie, essi erano tenuti a dare ogni anno al principe di Bisignano, signore della città, tre ducati per il diritto di casalinaggio. Come altrove, gli ebrei coriglianesi erano mercanti, prestatori, artigiani. Nel 1487 Lazzaro da C. era tra i giudei più facoltosi di Cosenza costretti a prestare denaro alla Regia Corte, mentre negli anni 1491-1493 Simone de Daniele confezionava barde per i somari del principe e un Saadya vendeva carta e pergamene per libri[2].
\nNel corso delle guerre che devastarono la Calabria alla venuta di Carlo VIII di Francia, e anche dopo, è probabile che la maggior parte dei giudei locali abbia abbracciato il cristianesimo per sfuggire alle violenze. Quando, infatti, nel 1510 gli ebrei e i cristiani novelli furono espulsi dal Regno, le autorità di C. non denunciarono, come fecero altre località, la partenza dei giudei, ma dei cristiani novelli, e impetrarono che questi fossero depennati dai ruoli fiscali. La Camera della Sommaria si disse disponibile e ordinò al percettore di assumere precise informazioni sul numero dei neofiti partiti e sulla data della loro partenza[3].
\nLa contrada abitata dagli israeliti si trovava sul versante occidentale dell’abitato di C., immediatamente sopra la strada Grecìa: ancora nel XVIII secolo la prima porta della città era detta della Giudeca, e nei suoi pressi (in loco ubi dicitur La Giudeca) fu edificato nel XVII secolo il convento dei Domenicani, oggi in rovina.
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Bibliografia
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Amato, G., Crono-istoria di Corigliano Calabro, Corigliano Calabro 1884.
\nColafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti, Soveria Mannelli 1996.
\nConte, L., Monografia Geografica-Antropica del Comune di Corigliano Calabro, Corigliano 1971.
\nPellicano Castagna, M., La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, Catanzaro Lido 1996.
\nTommaso Pugliesi, P., Istoria apologetica di Corigliano, Cosenza 1978 (ed. an.).
\nVivacqua, S., Calabria, in L’Ebraismo dell’Italia meridionale, pp. 295-310.
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[1]Pellicano Castagna, M., La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, vol. II, pp. 144-149.
\n[2]Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti, pp. 96-97, doc. 1; pp. 117-18, doc. 23; pp. 123-24, doc. 30; ASNa, Sommaria, Diversi II 67.
\n[3] Colafemmina, C., Per la storia, pp. 155-156, doc. 72.
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Uriel di Zafarana di Cosenza e Abramo e Palumba, figli di Sabatello de La Regina della stessa città, avevano presentato ricorso contro l’università di Castrofranco e la sua comunità ebraica perché volevano costringerli al pagamento dei diritti fiscali con quella terra e non permettevano di percepire i frutti dei beni che vi possedevano. Il Viceré riconobbe valide le ragioni addotte e in data 27 febbraio 1455 ordinò che non fosse recata loro alcuna molestia, essendo essi cittadini di Cosenza, dove avevano la maggior parte dei beni e per i quali pagavano le imposte dovute alla Regia Corte. Quanto ai loro beni in Castelfranco, dovevano pagare i contributi solo in proporzione di quanto realmente vi possedevano[1].
\nIl 6 agosto 1488 la Camera della Sommaria ordinò al percettore provinciale di non costringere gli ebrei locali al pagamento di contributi fiscali straordinari, poiché essi già pagavano le tasse ordinarie e la loro porzione del donativo straordinario di 6.000 ducati imposto dal re ai giudei del Regno. L’ordine fu rinnovato l’anno seguente in data 15 dicembre[2].
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Bibliografia
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Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti, Soveria Mannelli 1996.
\nDito, O., La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, Cosenza 1967.
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